Nella seconda metà del Novecento sono avvenuti due episodi di valenza storica che hanno dato un impulso rilevante allo sviluppo di un dialogo ebraico-cristiano: l’enciclica Nostra aetate promulgata da Papa Giovanni XXIII durante il Concilio Vaticano II nel 1965 e la visita di Papa Giovanni Paolo II alla Sinagoga di Roma nel 1986. Da allora tanto tempo è trascorso e molti passi sono stati fatti in avanti, qualche volta anche indietro, proprio a testimonianza del fatto che il dialogo è necessario e fondamentale per creare una buona società. Purtroppo poi la società non sempre segue gli insegnamenti e le indicazioni che dal dialogo interreligioso scaturiscono: forse dobbiamo ancora ragionare sullo scopo per il quale vogliamo dialogare.
Rav Giuseppe Laras, amico intimo e per moltissimi anni contraltare dialogante del cardinale Carlo Maria Martini, asseriva che lo scopo del dialogo “è quello di toccarsi, di conoscersi e riconoscersi vicendevolmente, puntando sul rapporto umano e gradualmente sul principio della fraternità fra ebrei e cristiani e sulle origini e i principi comuni a queste due grandi religioni”.
Il dialogo è oneroso, ma necessario: ci vuole tanta pazienza perché i passi da fare in questo percorso sono molti e, a volte, ogni passo nasconde un inciampo. Oggi ci troviamo davanti ad un’umanità sempre più smarrita, che fa fatica a concepire progetti per il futuro. In questa prospettiva, attraverso il dialogo, dobbiamo dimostrare la nostra fedeltà ai valori e ai precetti che, con distinte peculiarità, caratterizzano le nostre fedi. Dobbiamo ribadire la fiducia che, attraverso un fecondo dialogo tra esseri umani, si possano indicare valori morali e spirituali nei quali operare in sintonia; essere quindi un esempio positivo, una testimonianza di speranza.
Gli auspici sono quelli di un’amicizia e di una collaborazione ebraico-cristiana sempre più stretta e autentica, un’amicizia che deve portare a risultati concreti: quelli dell’intervento nella società. Insegnare valori ma anche, e soprattutto, mostrare azioni. Quindi il tema della solidarietà e dell’attenzione per chi sta soffrendo di più in questo momento è veramente un tema centrale. Quest’anno, nella giornata del dialogo, abbiamo analizzato il libro biblico dell’Ecclesiaste/ Qohelet che tratta la questione del senso della vita, del senso dell’investimento umano, delle sue sofferenze.
Cosa ci sta a fare l’uomo quando tutto potrebbe essere vanità? Ma è tutto vanità oppure nella nostra vita qualche cosa ha un senso?
Nel momento in cui un intero sistema di organizzazione delle nostre esistenze è in crisi a causa di questa pandemia, dobbiamo, come Qohelet, porci domande e aiutare coloro che sono smarriti a fare altrettanto per impostare un nuovo percorso di cammino verso il vero senso della nostra esistenza.
Adolfo Aharon Locci
Rabbino capo di Padova