L’esperienza cristiana di oggi non può che essere una esperienza mistica, che trascende continuamente se stessa, altrimenti muore. Non si tratta di ripetere gli avvenimenti storici di Gesù e di applicarli alla vita personale, ma di riprendere un nuovo stile e una nuova spinta. Del resto la fede cristiana è sorta per lo shock di Gesù di Nazareth che non ha scritto alcuna parola che non fosse sulla sabbia e di lui rimane solo lo Spirito. Il Divino, l’umano e il cosmico è il nome che i cristiani danno a questo mistero centrale della realtà, che richiede una esperienza diretta che va al di là del logos. Richiede silenzio e ascolto per realizzare questo Cristo che ancora non è finito e si sta realizzando in ciascuno di noi.
La forza dell’intuizione cosmoteandrica di Panikkar è di appartenere al bagaglio complessivo dell’umanità. Dio, uomo e cosmo sono in un rapporto costitutivo, per cui quello che accade a noi ha ripercussioni nel Divino e quello che accade nel Divino ha ripercussioni in noi. Siamo tutti imbarcati nella stessa avventura e siamo spettatori, attori e autori della realtà.
La sfida che si presenta ai cristiani di oggi è di essere preparati a una nuova conversione, a un balzo epocale per aprirsi all’insicurezza, che non si sa dove ci condurrà. Per questo richiede fede, coraggio, audacia e libertà di sapere che niente è perduto, anche quando tutto sembra perduto. Soprattutto è al costituirsi dell’umanità dell’uomo che interviene una relazione originaria senza la quale non ci sarebbe che l’esplodere terrificante delle pulsioni e della violenza.
La terra d’Abruzzo è per me un luogo dell’anima. L’ho percorsa con i ragazzi nel corso dei decenni. Ne ho ammirato la maestosità delle montagne e i silenzi degli altipiani, le bellezze artistiche e la forza silenziosa della sua gente. In questi luoghi è fiorita una santità che possiamo ancora coltivare al seguito di Francesco d’Assisi e di papa Celestino. I passi dei pellegrini contemporanei possono ricalcare gli antichi sentieri, intrisi di fatica e di sofferenza della povera gente di cui Ignazio Silone ci ha raccontato il poema.
don Achille Rossi
Parroco di Città di Castello (PG)