SAHEL. Gli interrogativi che nel deserto fioriscono ancora.
Tristemente alla ribalta negli anni dei regimi militari in America Latina, i ‘desaparecidos’, gli scomparsi non hanno mai abbandonato la scena. Sono assenti come non mai nella cronaca quotidiana del nostro tempo che ci si ostina a far passare per Storia. Durante il mio soggiorno argentino il tema della memoria era diventato cruciale e le marce per rivendicarla erano allora poco partecipate. Nei rumorosi cortei organizzati nella città di Córdoba, ad esempio, c’erano più poliziotti che militanti. Congiunti, figli, nipoti, cugini o semplicemente amici, si marciava per la memoria degli scomparsi negli anni delle repressioni militari. Per vari Paesi dell’America latina fu la ben nota 'Operazione Condor', di concerto con la scuola economica di Chicago negli Stati Uniti, che mirava a ‘normalizzare’ l’opzione neoliberista nell’economia e nella politica. Si seppe col tempo che esistevano liste di persone da eliminare, luoghi di tortura e i famigerati ‘voli della morte’, nei quali gli ‘indesiderabili’ erano buttati in mare dall’aereo, per non lasciare tracce.
L’epoca degli scomparsi, gli assenti, gli invisibili, i cancellati, in una parola i ‘desaparecidos’, non è terminata affatto. Appaiono e poi scompaiono in fretta, a seconda delle convenienze, delle opportunità, delle contingenze umanitarie o semplicemente per casualità. L’importante è che non disturbino, non diano fastidio, non mettano in discussione il sistema, non passino il confine loro assegnato e destinato per la forza delle cose. I migranti, i rifugiati, gli sfollati, i contadini e allevatori, i cercatori d’oro, i ‘talibé’, i bambini di strada, i prigionieri, i mendicanti, le vittime della tratta e in generale i poveri sono coloro che rappresentano questo perenne e costante fenomeno sociale. La Storia la fanno gli scomparsi, la scrivono i vincitori e la racconta il vento alla sabbia che tutto copre e redime. Mettiamo, ad esempio, i migranti che hanno tenuto la scena finché è stato necessario. Esternalizzazione delle frontiere europee, controlli sistematici di chi osa usufruire del diritto alla mobilità, rischio di rotte alternative, ruolo ‘paterno’ del sistema che tramite l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni rispedisce a casa i ‘volontari’ con un aiuto per l’inserimento. Desaparecidos per sempre, si spera (salvo rivederli l’anno seguente in transito).
Molti rifugiati di Paesi in conflitto armato o sociale hanno trovato asilo nel Niger. Arrivano da Paesi confinanti e da altri più lontani per tentare di ricostruire il presente con le macerie del passato e le speranze del futuro. Si trovano, talvolta per anni di attesa, in case di transito, accoglienza, smistamento, protezione o in campi adibiti per renderne più fluido l’aiuto e il controllo. Una parte di essi arriva dai luoghi di detenzione, lavori forzati e tortura dalla Libia, attraverso voli e ‘corridoi umanitari’ che non intaccano in nulla le politiche che stanno alla base del fenomeno. Scompaiono gradualmente dalla vista e dall’interesse dei non addetti ai lavori e per esistere sono costretti, talvolta, a manifestare pubblicamente la loro esistenza con dei ‘sit-in’ davanti agli uffici dell’Alto Commissariato per i Rifugiati, Unchr. Quanto ai contadini e agli allevatori, tra un problema e l’altro legato alle terre, alle transumanze e all’uso dei punti d’acqua, appaiono solo quando il conflitto per qualcuno degli elementi citati conduce alla violenza armata. Allora ridiventano visibili anche grazie alle accuse di collusioni, da parte degli allevatori, coi gruppi terroristici.
In una recente intervista il Commissario per l’Energia e le Miniere per l’Africa Occidentale rilevava che almeno il dieci per cento della popolazione del Niger, Mali e Burkina Faso dipende dallo sfruttamento delle miniere d’oro artigianali. Con oltre mille scavi ‘informali’ questa attività è praticamente la metà dello sfruttamento aurifero assicurato dalle compagnie minerarie legalmente riconosciute. I minatori, molti di essi bambini, scompaiono nelle gallerie scavate e tenute assieme da mezzi di fortuna. Così come scompaiono dalla vista, per abitudine, i bambini studenti di varie scuole coraniche, mandati quotidianamente a mendicare nelle strade delle città del Sahel. Scompaiono come i bambini che si nascondono la notte nelle strade e nei mercati della città. Nascoste, invece, le centinaia di persone detenute in prigioni sovraffollate, con poco cibo e assistenza sanitaria inadeguata. Scomparsi i diritti umani rimane lo spazio per la carità che, quando non cammina assieme alla giustizia, si trasforma in ambulanza del sistema. La mendicanza o accattonaggio sono vietati per decreto ma i mendicanti esistono e diventano visibili nei crocicchi della città profittando dei semafori o delle rotonde che ormai fanno parte del paesaggio urbano. Le vittime della tratta, donne in particolare, sono scomparse e non fosse per qualche volonterosa Ong, che opera fin quando il progetto è finanziato, nessuno si accorgerebbe di loro. Quanto ai poveri, coloro che arricchiscono tanti organismi grazie al fatto di esserci e perpetuarsi, scompaiono quando non servono più allo scopo prefissato. Tutto questo, e ben altre non citate sparizioni, accade perché, in realtà, a scomparire, grazie anche all’uso politico dell’epidemia Covid, sono alcune realtà fondanti. Si tratta della pianificata e apparente scomparsa delle classi sociali, della democrazia, della giustizia e dell’indignazione. Queste quattro condizioni ‘desaparecidas’ sono alla base delle cancellazioni susseguenti. Le marce della memoria indignata non hanno per nulla terminato la loro necessaria attualità. ◘
di Mauro Armanino
Niamey, 8 agosto 21, per non dimenticare i minatori di Marcinelle