EDITORIALE.
Il ritorno dei talebani a Kabul e la disordinata fuga dall’Afghanistan degli americani preludono a tragedie ancora più inquietanti, perché il terrorismo non è affatto domato, fiorisce ancora, anzi, si sta diffondendo in Africa, dal Sahel alla Nigeria, dalla Somalia al Mozambico. Se non ci limitiamo a descrivere il fenomeno ci accorgiamo che il fondamentalismo è la tipica malattia delle religioni, quando perdono il nucleo vivo della loro esperienza e si rifugiano nelle tradizioni e nel conformismo.
Inutile dire che il fondamentalismo ha molti volti: c’è un fondamentalismo cristiano che si aggrappa agli antichi riti e dimentica quanti disastri abbiamo combinato come conquistatori nel mondo intero; c’è un fondamentalismo ebraico che in nome di una terra promessa donata da Dio fa pagare un prezzo terribile al popolo palestinese; c’è un fondamentalismo islamico che si permette il lusso di devastare e massacrare in nome della sharia e non ricorda che uccidere un uomo è distruggere il mondo intero, come dice il Corano.
L’unica medicina contro il fondamentalismo è il dialogo, che non consiste nella contrapposizione dei vari sistemi religiosi, ma nel trovare punti di contatto per costruire un mondo più giusto e pacificato. Il gesto profetico compiuto da papa Francesco, prima ad Abu Dhabi poi a Baghdad, è stato quello di gettare ponti di comprensione tra le religioni abramitiche, divise da fossati di odio e di misconoscimento reciproco, perché si realizzi quella fratellanza universale di cui abbiamo così urgente bisogno. Lo chiedono soprattutto le vittime, costrette a subire il maschilismo dominante, lo invoca anche il pianeta, sottoposto a uno sfruttamento selvaggio e insensato. In fondo tra il fondamentalismo religioso e quello economico il passo è breve. ◘
a cura della Redazione Altrapagina