Società. Intervista a Franco Vaccari, fondatore e presidente dell’Associazione Rondine Cittadella della Pace.
L’Associazione Rondine Cittadella della Pace opera da oltre 20 anni con coerenza ed efficacia allo scopo di promuovere modalità e mezzi per la risoluzione dei conflitti e la individuazione di percorsi di pace. A Rondine, un piccolo borgo sull’Arno nel Comune di Arezzo, i giovani arrivano dai territori tormentati da conflitti armati e imparano a riconoscere negli “altri”, nei “nemici”, la “propria umanità”.
In che cosa consiste il Metodo Rondine, elaborato e sperimentato con successo dalla fine degli anni Novanta?
«La parola chiave del Metodo Rondine è “relazione” ovvero quel big-bang energetico che serve a sviluppare l’umano tra quanti accettano la sfida concreta dell’incontro con l’altro. Una pratica quotidiana per saper stare nel conflitto che è parte della quotidianità di tutti noi.
Il Metodo Rondine ci insegna che se riusciamo a individuare i veleni che si annidano nella relazione e trasformarli in opportunità di cambiamento, possiamo disinnescare le derive più drammatiche del conflitto. È un’infrastruttura umana – antropologica, psicologica, spirituale – che, attraverso il conflitto, permette alla relazione di trasformare il dolore in forza di crescita, e sulla quale possiamo costruire un’infrastruttura educativa per produrre una cultura che sappia unire i diversi livelli del “noi”: relazionale, comunitario, sociale e globale, evitando l’instaurarsi del nemico».
Nei due anni di permanenza a Rondine si opera il “miracolo” di trasformare l’odio e l’ostilità in convivenza, collaborazione, amicizia. Quali difficoltà incontrate?
«Le difficoltà sono enormi e quotidiane. Questi giovani provenienti da Paesi teatro di conflitti armati o di società post-belliche sono mossi dal desiderio di mettersi in gioco con una ricaduta nei loro territori. Hanno fiducia di scoprire una persona, un amico, in quello che avevano sempre visto come qualcuno da odiare. Si tratta di un cambiamento immenso. Infatti durante il percorso di formazione per praticare un approccio positivo al conflitto assistiamo a un continuo oscillare tra due poli: da un lato, disponibilità a collaborare e a stringere amicizie; dall’altro, risucchio verso l’ostilità, causato, quasi sempre all’improvviso, da uno shock drammatico, come lo scoppio o la ripresa di guerra tra i loro rispettivi Paesi. Nel Metodo Rondine dolore e rabbia non evaporano, non spariscono. Ce lo insegna Liliana Segre nel suo appello ai giovani contro l’indifferenza nella sua ultima testimonianza pubblica alla Cittadella della Pace, il 9 ottobre 2020».
In oltre 20 anni di esperienza si sono registrati insuccessi? Il Metodo Rondine ha dovuto fare i conti con le contraddizioni dell’umano ed essere sottoposto a modifiche e trasformazioni anche radicali? Il contenuto della formazione promossa nel piccolo borgo affacciato sull’Arno quali revisioni ha subìto? E perché?
«Rondine è una storia viva che nasce proprio da un fallimento. I primi ceceni che abbiamo accolto ormai più di venti anni fa, per quanto fossero disposti a parlare di pace si rifiutarono di lavare i panni sporchi nella stessa acqua dei compagni russi. E se ne andarono. Ma fu proprio lì che capimmo che Rondine doveva essere prima di tutto un’esperienza umana integrale perché solo rovesciando la propria vita si può incidere anche nella società. Di recente la sfida del Covid ci ha messo a dura prova. È stato uno shock. E non poteva che essere così per un’esperienza che si fonda sulla relazione e la convivenza.
Il coronavirus è stato subito identificato come un nemico comune. Un’espressione che invita a essere uniti contro qualcosa da combattere: un nemico appunto. Ma l’unità che si crea in seguito all’identificazione di un nemico, è costruita sulla paura, sul dolore, su tanti – troppi – lutti. È un’unità ingannevole, foriera di fantasmi. Ma è proprio in un’epoca storica in cui tutti ci siamo dovuti mettere alla prova con nuovi conflitti che il metodo Rondine ci sembra quanto mai una necessità per arginare le derive globali della frammentazione della società e contribuire al rinnovamento profondo dell’approccio verso l’altro».
A Rondine si forma ogni anno una quarta liceale con studenti provenienti da tutte le regioni italiane. I ragazzi, oltre a studiare le discipline del quarto anno di corso, sono coinvolti in moduli didattici che hanno come fulcro i temi della pace, della coesione sociale, della solidarietà. I giovani liceali, nella quotidiana relazione con gli studenti della World House, acquisiscono una forma mentis capace di intendere le origini e la natura dei conflitti. Quali risultati formativi avete registrato?
«Risultati così entusiasmanti tanto da far nascere un nuovo progetto per portare il metodo Rondine nella scuola italiana. Perché offre un’educazione quanto mai adatta al nostro tempo, segnato da accelerazione, complessità e conflittualità. E più di tutti gli adolescenti necessitano di strumenti per costruire la propria identità, riuscire a far emergere le risorse interiori che possono sostenerli nella propria crescita in tempi tanto incerti e confusi. E ne abbiamo visto la meraviglia proprio nel periodo buio del primo lockdown. Giovani di tutta Italia costretti a tornare a casa all’improvviso lasciando un sogno a metà. Non solo sono riusciti a sostenersi a vicenda anche nella distanza fisica e a crescere come gruppo, ma anche a sviluppare il desiderio di restituire generosamente quanto ricevuto coinvolgendo i futuri candidati che non avrebbero potuto vivere l’esperienza di Rondine e creando per essi un percorso di crescita personale da remoto. È una grande speranza per le future generazioni» ◘
di Matteo Martelli