Ambiente. Difendere la biodiversità: colloquio con Isabella Dalla Ragione.
C’è un filo verde che intreccia le colline di Città di Castello a Giordania, Vietnam, Palestina e Russia. Un filo che passando per le diversità specifiche riesce ad arrivare al “nocciolo” di una visione umana collettiva e che, proprio grazie alla valorizzazione delle differenze, riesce a preservare quel valore fondativo e inalienabile che chiamiamo vita. Una Cloto moderna, potremmo dire, colei che incessantemente fila lo stame della vita. La “filatrice” è Isabella Dalla Ragione. Ci accoglie nella sua casa in collina, a San Lorenzo, e già la casa rivela la testimonianza di un passato o meglio di una “attualità arcaica” da non dimenticare, mai. Isabella, oltre a essere persona accogliente e aperta, è una agronoma che porta nel Dna il gene forte del tramandare e del tesaurizzare ciò che è stata la sapienza, congiuntamente a motivo di sopravvivenza, dei propri, ma anche nostri, avi. Livio, suo padre (grazie al quale, tra le altre cose, è stato possibile recuperare tanta parte delle tradizioni contadine locali altrimenti scomparse dal passaggio dal mondo agricolo a quello industriale) è stato ed è ancora, probabilmente, uno dei motivi per cui in Isabella non si riesce a distinguere nettamente lavoro e passione, anzi si ha la percezione immediata che non vi sia per lei alcuna separazione fra l’uno e l’altra. Ci piace pensare che Livio e Isabella, ancora oggi insieme, in un tempo non più semplicisticamente o passato o presente o futuro, stiano portando avanti l’opera di recupero e preservazione di quel patrimonio scientifico, culturale e affettivo che altrimenti andrebbe definitivamente perduto. Isabella è presidente di “Archeologia Arborea” che a livello nazionale e internazionale è indubbiamente punto di riferimento in tema di biodiversità, bioconservazione e recupero delle specie autoctone, principalmente da frutto. La tendenza a trasformare l’attività agricola in agroindustria, cresciuta dall’immediato dopoguerra fino a oggi, ha avuto come conseguenza il sacrificio delle tipicità, dei particolarismi territoriali e sociali a partire dalla perdita degli oggetti e abitudini caratteristici del mondo rurale, ma soprattutto il sacrificio grande delle varietà degli alberi e delle piante coltivate nei diversi luoghi del pianeta. Le piante sono state sempre fonte primaria di sussistenza oltre che espressione di usanze e ritualità. Partendo dai racconti e dalla tradizione orale che narrano dei lunghi viaggi che certe specie hanno compiuto (come ad esempio un piccolo melo o un pero o un pesco che al loro ritorno gli emigrati recavano con loro), si è creata una rete di ricerca e recupero di varietà attraverso il paesaggio e la sopravvivenza di quelle comunità che le hanno coltivate per secoli. C’è stato un tempo in cui ciò che ora viene coltivato per “moda”, per la singolarità del sapore o della forma, era parte integrante di un tessuto topo-familiare specifico, collegato al viver quotidiano delle comunità. Il lavoro di recupero e preservazione che Isabella sta svolgendo non è espressione di una visione nostalgica del passato. È, all’opposto, pietra miliare per la salvaguardia della biodiversità. La Fao nel “Rapporto sullo stato della biodiversità mondiale per l’alimentazione e l’agricoltura 2019” fornisce evidenti prove che l’impoverimento progressivo della biodiversità, su cui non si sta ancora agendo con la dovuta forza, è un drammatico rischio per la garanzia dei mezzi di sussistenza alimentare e quindi della nostra stessa sopravvivenza. E una volta persa, la biodiversità non può essere in alcun modo recuperata: l’unica arma che abbiamo è di agire in anticipo (fa sorridere anticipo quando già sappiamo essere in drammatico ritardo) e preservarla. Il lavoro sulle biodiversità si può fare in tutti i luoghi del mondo dove il tessuto umano ha prodotto una storia di legami profondi tra una comunità e il luogo che la ospita. La ricerca di queste varietà autoctone, già adattate all’ambiente, non bisognose di contributi artificiali e supporti chimici massicci, ha portato Isabella in giro per il mondo alla ricerca di colture rare, come l’aloe in Giordania, l’albicocco e il ciliegio in Libano e ultimamente in Russia per il recupero della tenuta Jasnaja Poljana, che fu proprietà dello scrittore Tolstòj. Nella Russia dell’Ottocento la gestione dei frutteti non era compito dei contadini, come lo era invece la coltivazione dei campi. Prima della Rivoluzione del 1917, spiega Isabella da poco tempo rientrata dalla tenuta di Tolstòj, la struttura agricola russa era tipicamente medievale, con un unico signore proprietario di latifondi molto vasti, comprendenti anche i villaggi e relativi abitanti. Il frutteto era pertinenza signorile e considerato un giardino: lo conferma anche il termine russo (pronuncia sad), che significa sia giardino che frutteto. Tolstòj, che era non soltanto scrittore ma anche conte e possidente, non si sottraeva a questa consuetudine. Il suo frutteto si trovava nella tenuta di Jasnaja Poljana e già all’epoca conteneva oltre mille esemplari di diverse varietà, soprattutto meli, provenienti dai suoi numerosi viaggi. La Rivoluzione russa stravolse il paesaggio e la vita agricola. Molte varietà furono abbandonate per lasciare spazio a frutteti comunitari, di Stato, in cui venivano coltivate solo determinate tipologie di frutti, quelle più produttive. Ma per i russi Tolstòj era intoccabile e il suo frutteto rimase inviolato, contrariamente a quello che avvenne per altre tenute private e proprietà ecclesiastiche. La tenuta fu trasformata in museo proprio dai bolscevichi, intorno al 1920. Furono i cambiamenti climatici a determinarne la progressiva decadenza e abbandono. Isabella, con l’esperienza e competenza acquisite, sta curando il recupero del ricco patrimonio della tenuta Jasnaja Poljana con un suo progetto, che tiene insieme l’attenzione verso un’alta varietà di frutti (biodiversità), unita a una specifica attività produttiva locale: la produzione di pastila, dolce tradizionale russo a base di mele, mediante un laboratorio appositamente allestito. L’instaurazione di uno stretto legame tra diversificazione delle varietà colturali e ritorno economico si è rivelata una soluzione interessante, perché rende più semplice ed efficace l’interesse del frutticoltore al mantenimento delle varietà colturali a livello locale.
Questa esperienza dimostra ancora di più che la biodiversità è una forma di protezione, una riserva genetica che trova in se stessa gli strumenti per rispondere ai grandi cambiamenti climatici. L’esperienza di Isabella dimostra la necessità di passare da una agricoltura industrializzata, intensiva, trattata chimicamente, legata alla grande distribuzione, a una agricoltura più dolce, affidata al piccolo e medio mercato, al produttore locale, alla stagionalità, alle colture poco estese, tra loro solidali, alla rotazione, se si vuole salvaguardare ambiente e salute umana. Soltanto cambiando la tipologia della domanda sarà possibile generare una diversa offerta e solo una diversa coscienza potrà portare a cambiare domanda: ma il tempo per compiere questo passaggio è sempre più limitato. ◘
di Andrea Cardelllini