Chiese chiuse

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Recensione.

silvia romano2

«Migliaia di chiese sono oggi inaccessibili, saccheggiate, pericolanti. Altre sono trasformate in attrazioni turistiche a pagamento. Oggi non sappiamo cosa farcene, di tutto questo “ben di Dio”, e bene pubblico: mancano visione, prospettiva, ispirazione. Ma è anche lì che si potrebbe costruire un futuro diverso». Infatti «Le chiese italiane ci chiedono di cambiare i nostri pensieri con il loro silenzio, offrono una pausa al nostro caos. Con la loro gratuità contestano la nostra fede nel mercato. Con la loro apertura a tutti, contraddicono la nostra paura delle diversità. Con la loro dimensione collettiva, mettono in crisi il nostro egoismo. Con il loro essere luoghi essenzialmente pubblici sventano la privatizzazione della nostra vita individuale e sociale. Con la loro viva compresenza dei tempi, smascherano la dittatura del presente. Con la loro povertà, con il loro abbandono, testimoniano contro la religione del successo».

Ed è a questi edifici religiosi, alcuni trasformati per la loro bellezza in “musei” o location per matrimoni ed eventi vari, innumerevoli e popolari, sparsi nel territorio, scarnificati, derubati, dimenticati, abbandonati, che Montanari dedica Chiese chiuse, edito da Einaudi, riprendendo un tema, direi un bisogno, già indicato con Le pietre parlano (Minimum fax) e Privati del patrimonio (Einaudi). Ma in questo saggio va più a fondo scavando nel suo sentimento alla ricerca dell’essenza dell’arte, invitandoci a fare altrettanto. È un libro che sorprende anche in un autore che ha ben presente il ruolo civile dell’arte, coniugandolo all’intimo affetto che prova verso di essa: sin dalle prime pagine s’intuisce che quello che si ha in mano è qualcosa di più profondo: una Passione, un religioso e civico pianto per le migliaia di chiese abbandonate nel nostro territorio, metafora della rovina materiale e morale nel quale sta precipitando il nostro Paese.

Passione per le chiese diffuse e chiuse, cadenti e saccheggiate, per l’arte che contenevano, per le persone che vi hanno pregato, per chi vi è sepolto. C’è un dolore che sale da quelle chiese abbandonate, dimenticate, che non ascoltiamo più, eppure ancora parlano di sé e di noi, di fatti e persone, di passato e presente. Potremmo ancora ascoltarle se solo avessimo la voglia di farlo consentendo loro ora, come facevano in passato, di costruire cittadinanza come opera dell’uomo e contemporaneamente di essere produttrici di senso capaci di modificare uomini e donne in uno scambio aperto e necessario a tutti, perché costituiscono la comunità civile, il “popolo elettivo delle antiche chiese italiane”. Luoghi di culto e contemporaneamente “spazio pubblico”, una tradizione italiana “indistinguibilmente civile e religiosa”, come civile e religiosa è la cupola del Brunelleschi a Firenze. A Perugia lo erano il campanile della Cattedrale con appesa in alto la Pietra della Giustizia e le unità di misura del Comune incise alla base. In altri Comuni c’erano altri elementi. È per questa esplicita duplice funzione, per questa “evidenza storica e culturale”, che le antiche chiese non sono solo monumenti religiosi, ma anche (e con la stessa intensità) “monumenti civici”.

Montanari la compassione che sente verso le chiese chiuse riesce a farla provare anche a chi legge: “Le antiche chiese italiane rappresentano un perentorio, struggente invito alla conversione collettiva: in senso laico, terreno”. Ricordando la funzione religiosa e civile di questo patrimonio abbandonato a se stesso dà anche possibili soluzioni. Significativamente indica che Costituzione e Vangelo hanno in comune  la centralità dell’essere umano a partire dai più bisognosi. I luoghi dove si può trovare l’essenza del valore religioso e civile sono proprio le chiese povere e abbandonate. Ricorda che don Milani faceva trovare sul banco dei suoi allievi la Costituzione e il Vangelo. Lo spirito di don Milani, come quello di Dossetti e Calamandrei, aleggia in tutto lo scritto. Lo stesso, a mio parere, aleggiava in tutta l’Assemblea Costituente, dove si respirava una religiosità laica, democratica e civile, che aveva ben presente il pianto che cresceva dalle pietre e dai morti della terribile guerra appena finita nella quale ci aveva fatto precipitare il fascismo. ◘

di Vanni Capoccia