Dossier.
Ci sono delle immagini che non possiamo dimenticare: quei bambini, consegnati dalle madri perché i soldati li potessero mettere in salvo, sono la fotografia di una tragedia che colpisce soprattutto i più fragili. L’Afghanistan è al collasso, mancano i viveri, c’è bisogno urgente di aiuti umanitari, altrimenti la popolazione soccombe.
L’improvvisa avanzata dei talebani ha colto di sorpresa l’Amministrazione statunitense che si è trovata a gestire un’uscita dal Paese senza aver preso le misure adeguate. Da parte loro, i talebani si sono mostrati capaci di fare la guerra, ma meno abili a gestire la pace. Per questo migliaia di persone scelgono la fuga, rifugiandosi in Pakistan, in Iran, in Turchia o addirittura in Europa. Cifre attendibili stimano che sono cinque milioni gli afgani che sono usciti dal Paese. Ormai anche le ultime sacche di resistenza contro i talebani in Panjshir sono state annientate e il potere è saldamente in mano agli studenti islamici. Come sia gestito, è un altro paio di maniche.
Le cronache ci raccontano di crimini perpetrati dai talebani sulla popolazione civile e di una caccia alle donne casa per casa, per costringerle a seguire i dettami della sharia o accettare matrimoni combinati. Le donne sono l’anello debole della società afgana, ma in questi venti anni hanno acquisito familiarità con i diritti civili, con l’idea di libertà e di democrazia e non sarà facile per i talebani sottometterle al giogo patriarcale.
L’Europa dopo la commozione iniziale non è stata capace di restituire all’Afghanistan dignità e prospettive di futuro e ha chiuso le porte ai profughi, nonostante la Convenzione di Ginevra ne stabilisca l’obbligo. È un atteggiamento colpevole, sia per gli errori che ha commesso, che per la catastrofe umanitaria che ha provocato. In fondo è una grande ingiustizia nei confronti degli afgani.
di Achille Rossi