Sanità. Come e se è cambiata la Sanità dopo la pandemia. Colloquio col dottor Graziano Conti già Presidente dell'Ordine dei Medici della Provincia di Perugia.
«Si crede, erroneamente, che i medici di base portino voti perché hanno molti pazienti. Ma è un errore per due motivi: se sei bravo, non ti voterebbero per il timore di perdere il proprio medico; se non ti stimano non ti voterebbero comunque».
A nostra domanda di un possibile coinvolgimento politico, Graziano Conti, medico di famiglia che molti avrebbero visto volentieri nella rosa dei candidati Sindaco ora che è in pensione, glissa in questo modo. Ma il motivo del nostro colloquio è la Sanità su cui, per motivi professionali e per aver ricoperto a lungo il ruolo di Presidente dell’Ordine dei Medici della Provincia di Perugia, ha accumulato una lunga esperienza. Il colloquio è il primo di un viaggio interno alla Sanità per capire come e se è cambiata dopo il Covid. «Il suo stato di salute, spiega subito il dottor Conti, non è che sia molto buono, anche se non si può proprio dire che sia cattivo». «La Sanità umbra, secondo Conti, ha un fardello pesante da portare, una specie di peccato originale, nonostante il processo di riorganizzazione complessivo del sistema assistenziale che ha ridotto gli ospedali da 23 a 19, ha creato due Aziende Sanitarie Territoriali, Perugia e Terni, con diversi presidi (Ospedali Dea - Sedi di Dipartimento Emergenza ed Accettazione e Ospedali di territorio), e due Aziende Ospedaliere: l’ospedale Santa Maria della Misericordia (Policlinico) di Perugia, l’ospedale Santa Maria di Terni».
A favore di tale riduzione sono state invocate sia le facilitazioni gestionali che organizzative: meno ospedali, migliore organizzazione, più risparmi. Sembra uno slogan, ma, aggiunge Conti, «contemporaneamente sono stati ridotti, rispetto agli standard previsti, anche i posti letto, soprattutto per alcune strutture. La pandemia ha invece mostrato quanto fossero necessari.
Ormai da tempo si sta procedendo anche a un accentramento di alcuni servizi per rendere più appropriato il sistema: ma una cosa è accentrare per razionalizzare, diversificare e rendere più funzionale il tutto, altra cosa è accentrare perché manca il personale, non viene assunto o non viene sostituito quando va in pensione, o perché si riducono le prestazioni, o si allungano i tempi di attesa. Così si favorisce il privato, senza soddisfare l’utenza».
Ma c’è anche un altro aspetto, sottolinea Conti, scaturito dalla suddivisione tra ospedali maggiori, ospedali medi e piccoli ospedali, essa «ha introdotto una divisione tra ospedali (hub e spoke), che doveva tramutarsi in una diversificazione dei servizi offerti tra prestazioni di base e prestazioni di alta specialità; ma se si va a vedere, in base ai Drg (l'acronimo indica il sistema di retribuzione degli ospedali per l' attività di cura, introdotto in Italia nel 1995), tutta questa diversificazione non c’è. Oggi occorre guardare alla qualità delle prestazioni, alla specializzazione e alle professionalità coinvolte e alla sicurezza legata alla casistica, alla sua numerosità e alle dotazioni tecnologiche. Tuttavia il bisogno di una assistenza di prossimità è rimasto, aggiunge Conti, ed è un bisogno reale. Il premier Draghi aveva promesso di portare la Sanità a casa degli italiani. Poi nel Pnrr sono stati programmati fondi per la costruzione di Case di Comunità, che dovrebbero essere una struttura intermedia tra il territorio e i servizi di secondo livello. Il rischio nascosto dietro le nuove strutture è che invece di portare le cure a domicilio portino gli italiani nelle Case di Comunità. Con una popolazione tendenzialmente anziana come la nostra, con un aumento delle patologie croniche, in presenza di molteplici co-morbilità non mi pare che questa sia la soluzione». Per il dottor Conti l’attenzione dovrebbe essere maggiormente centrata sulle carenze di personale, sia medico che infermieristico. «È mancata la programmazione. Molti medici in questa situazione pandemica sono stati occupati in mansioni diverse da quelle ordinarie; se a ciò si aggiunge che in passato non si è tenuto conto che una generazione di medici, tutti di una certa età e tutti della stessa età, sarebbero arrivati contemporaneamente in uscita lavorativa, lasciando dei vuoti incolmabili nel breve periodo, si spiega perché il Ssn è in sofferenza. Lo stesso discorso vale per gli infermieri».
Di questo si parla poco o non si parla con la determinazione dovuta, mentre molta attenzione è stata riservata alle strutture ospedaliere. «Abbiamo una configurazione ospedaliera diversificata: ospedali costruiti a metà strada tra una realtà e un’altra, Pantalla, Branca, e Case di Comunità che si vorrebbero costruire. Prima abbiamo edificato cattedrali nel deserto, come è stato detto, ora si punta sulle chiesuole. E nonostante questa sia la mappa, si sente ancora ventilare l’ipotesi di un nuovo ospedale tra Amelia e Narni. Si dice che sono troppi e si continua a costruire». Della Casa della Salute se n’è parlato molto e in modo non sempre lineare a Città di Castello. «Per ora, afferma Conti, essa è solo una definizione con contenuti poco chiari: quali rapporti dovrebbe avere con il territorio? Che cosa si fa in queste strutture: igiene, Sanità pubblica, vaccinazioni e cos’altro? Nei documenti regionali ancora si elencano attribuzioni generiche e poco operative. Di certo, nel piano di riparto del Pnrr nella nostra Regione ne sarebbero previste 18 con uno stanziamento tra Case di Comunità, Centrali operative e interconnessione di circa 29 milioni». Oltre alle funzioni da attribuire alle nuove strutture, il loro ingresso obbliga alla ridefinizione del ruolo che i medici di base dovrebbero avere al loro interno, «e qui siamo in alto mare». Sta di fatto che nonostante la pandemia abbia fatto riscoprire la necessità di potenziare il servizio sanitario pubblico e universale, il privato guadagna sempre più spazio. «È inevitabile. La privatizzazione già c’è. È nei fatti e i dati sulla spesa sanitaria, elegantemente chiamata out of pocket cioè di tasca, lo confermano. Se ciò sia frutto di una precisa scelta politica o di non scelte potrei avere qualche dubbio, chiarisce Conti, ma si tratta di dubbi retorici. Per capire è essenziale rispondere a una domanda: che tipo di Sanità si vuole? Pubblica, privata, mista? Con la pandemia il fenomeno si è accentuato. Per circa un anno e mezzo molte prestazioni, compresi gli interventi chirurgici hanno subito una drastica riduzione nelle strutture pubbliche; la gente si rivolgeva a quelle private o era lo stesso servizio pubblico a utilizzare, con apposite convenzioni, le strutture private. C’è un enorme arretrato di prestazioni, le liste d’attesa si sono allungate a dismisura ma se si va in giro per gli ospedali o ambulatori a verificare nelle sale d’attesa non si vede poi tutta questa folla. La Sanità integrativa e gli stessi benefici fiscali che lo Stato riconosce ai datori di lavoro spingono verso la privatizzazione.
Tuttavia se l’emergenza sanitaria ha svolto un ruolo nell’accelerazione dei problemi della nostra Sanità, ha anche segnato una transizione importante: ha modificato il rapporto medico-paziente, ha aperto le porte alla telemedicina e nuovi scenari si profilano sul fronte delle tecnologie al servizio dell’assistenza territoriale e ospedaliera e del collegamento informatico tra medici di famiglia e gli altri servizi (il Pnrr prevede per la digitalizzazione e le tecnologie dei Dea della nostra Regione circa 35 milioni). C’è soprattutto bisogno di un sistema informatico che si parli, che dialoghi, cosa resa ancora problematica dalla difformità dei programmi, per cui le informazioni che potrebbero circolare in tempo reale non risultano fruibili a causa della diversità dei sistemi informatizzati. Non c’è un sistema unico nazionale.
A suo tempo ogni Regione ha fatto le sue scelte in questo campo. Basta ricordare tutto quello che è successo in Umbria con le varie società e il passaggio dalla Crued, alla Webred e poi a Umbria digitale. E la nostra non era una delle Regioni peggiori. Ognuna ha inventato il suo sistema informatico». Noi ce lo ricordiamo bene perché siamo stati uno dei primi giornali che si scontrò con la Crued. Da allora molto è cambiato, ma non tutto in meglio. ◘
di Antonio Guerrini