Martedì, 12 Novembre 2024

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L'odissea degli ultimi

Editoriale.

silvia romano2

Non possiamo dimenticare quegli otto bambini di Kabul morti di fame, nel terribile inverno afgano. Le immagini danno una stretta al cuore. Un velo bianco ha nascosto i corpicini, fuoriescono solo alcune scarpette che ci ricordano quello che abbiamo visto nel campo di Auschwitz. È una tragedia senza fine e ne fanno le spese i più piccoli.

Gli afgani che attraversano la rotta balcanica fanno spesso a piedi 4.000 -5.000 chilometri in cerca di libertà, ma sono bloccati dal filo spinato al confine tra Bielorussia e Lituania. Intere famiglie sono nascoste nei boschi, senza cibo, senza acqua, senza scarpe, senza latte per i bambini, a meno che qualche organizzazione umanitaria non venga a salvarle. Alcuni profughi aspettano la notte per oltrepassare il filo spinato e tentare la fortuna. Nel buio i bambini piangono e gli adulti sono allo stremo, respinti dai gendarmi polacchi e braccati dai militari bielorussi. Un dramma indescrivibile che solo le immagini possono fissare.

Qualche giornalista coraggioso ha ripercorso il viaggio dei migranti verso l’Europa e si è imbattuto nel cimitero di Mezarje, a nord della Bosnia, dove vengono seppelliti i morti senza nome della rotta balcanica. È una distesa di croci e lapidi che fa impressione. Non si capisce se sono stati vittime di un respingimento o se stavano tentando di passare il confine. I parlamentari europei, che un anno fa avevano visitato il campo profughi di Lipa, hanno notato che sono stati fatti passi avanti, sono stati spesi molti fondi, ma siamo ancora lontani dagli standard stabiliti. I respinti vengono ripuliti di tutto, perfino dei ricordi. «Se dovessero cadere senza più rialzarsi – ha scritto Nello Scavo – di loro non resterebbe che un mucchio di terra. E nessun colpevole». ◘

Redazione l'Altrapagina.it


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