Politica. Difendere la biodiversità.
Il problema della “Prima Repubblica”, che poi precipitò nella strategia della tensione, il terrorismo e l’uccisione di Moro, fu la democrazia incompiuta per la quale un terzo dell’elettorato era escluso dalla decisione politica perché votava per il partito comunista, e pertanto privato della comune appartenenza dall’anticomunismo ideologico di tutto il sistema.
Il problema di oggi, giunto alle prime avvisaglie di piazze eversive, è la democrazia regressiva, per la quale più della metà dell’elettorato (è accaduto domenica scorsa) si astiene dal voto, perché le sue opzioni politiche non trovano alcun posto in un sistema bipolare di due aggregazioni elettoralmente forzate, una delle quali inquinata da una Destra estremista e grottesca, l’altra da un servilismo alla falsa neutralità della competenza nel mercato globale.
La risposta di Letta che persegue larghe alleanze mediante la fusione degli elettorati non è la soluzione ma il problema: le alleanze democratiche, e non le ammucchiate, si fanno tra le rappresentanze politiche portatrici di credibili e specifiche istanze, capaci di portare alla dignità della decisione comune in Parlamento le differenze felicemente presenti nel vissuto e nelle culture del popolo sovrano.
L’adeguata risposta è pertanto una democrazia pluralista realizzata mediante una legge elettorale proporzionale, in grado di riconoscere le vere priorità per l’Italia. Queste sono oggi quelle di una riforma mondiale che includa la libertà di migrazione (e quindi per noi la rapida introduzione dello “ius soli”), il disarmo nucleare (e quindi per noi l’immediata adesione al trattato per la proibizione delle armi nucleari e il loro allontanamento dalle nostre basi) e un ordinamento universale di doveri e diritti garantiti da un costituzionalismo mondiale.
È venuta a proposito la trasmissione “Atlantide” del 7 ottobre che ha documentato come, dopo i bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki del 6 e 9 agosto 1945 e la capitolazione del Giappone, due team statunitensi andarono a verificare sul posto gli effetti delle bombe. I membri della missione furono inorriditi da quello che trovarono, e constatarono che gli scienziati che avevano costruito le atomiche (alcuni dei quali partecipi della verifica) non avevano minimamente previsto quello che sarebbe avvenuto. Le foto e i documenti che ne ricavarono furono classificati come segreti e sparirono negli archivi per la condanna che la loro pubblicazione avrebbe fatto ricadere sui costruttori della bomba e sugli Stati Uniti che l’avevano sperimentata sulle carni vive delle città giapponesi votate allo sterminio; come ha testimoniato il giornalista Furio Colombo che negli anni immediatamente successivi ne prese diretta conoscenza negli Stati Uniti, la rievocazione di quell’evento suscitava nell’opinione pubblica un enorme imbarazzo, nessuno ne voleva parlare e quando si entrava in argomento esso era subito chiuso.
Dunque l’era atomica è cominciata senza che coloro che le hanno dato inizio immaginassero che cosa effettivamente stavano facendo, e in modo tale che lo sgomento per quanto era stato compiuto impediva perfino di parlarne.
Ma oggi sappiamo tutto, non solo quello che è accaduto allora, ma tutto quello che ne è seguito nei decenni successivi per gli effetti a lungo termine delle radiazioni, sappiamo delle vittime, dei loro inenarrabili dolori, e tutto ciò dobbiamo moltiplicare per migliaia di volte quanto si sono moltiplicati il numero e la crudeltà devastante delle armi nucleari nel frattempo costruite, potenziate, arricchite, ammassate negli arsenali, disseminate e pronte all’uso in tutto il mondo e contro tutto il mondo. Allora gli Stati Uniti non sapevano e non immaginavano; molte persone, anche scienziati e protagonisti dell’impresa a cose fatte si posero problemi morali, l’improbabile segreto provò a coprire imbarazzo, vergogna e forse pentimento. Allora si poteva ignorare che le armi nucleari mettevano nelle mani dell’uomo la decisione sulla fine del mondo. Ora gli Stati Uniti lo sanno, ma è come se non lo sapessero, e invano lo sanno gli Stati che tali armi hanno costruito e accumulato dopo di loro, lo sanno la Russia, la Gran Bretagna, la Francia, la Cina, l’India, il Pakistan, Israele, la Corea del Nord e invano lo sa l’Italia che le armi nucleari ospita nelle sue basi e si dota degli aerei per usarle, e così tutti gli altri Paesi che sono della partita.
Il mondo ha provato a fermarsi. Il Papa che nel 2019 è andato apposta a Hiroshima e Nagasaki non fa che chiederlo con tutte le religioni; dalla Pacem in terris in poi sulla questione della guerra è cambiata l’immagine di Dio; il 22 gennaio con la ratifica di 51 Stati è entrato in vigore il “Trattato per la proibizione delle armi nucleari”, firmato da 86 Paesi; un Trattato che l’Italia non ha firmato e come essa nessun Paese della Nato.
Fino a quando le potenze nucleari non entreranno nella logica del disarmo e non accetteranno di aderire al Trattato la visione di un mondo libero dalle armi nucleari e non violento che pure fu avanzata dall’Unione Sovietica di Gorbaciov e dall’India di Raijv Gandhi nella Dichiarazione di Nuova Delhi del 1986 sarà frustrata, e non si può nemmeno immaginare che la comunità umana sia salvaguardata nella sua pace e nei diritti di tutti i suoi membri da un ordinamento e una Costituzione a dimensioni mondiali, che è l’oggetto della nostra speranza. ◘
di Raniero la Valle