Venerdì, 11 Ottobre 2024

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Raffaello architetto

Cultura. Il giovane Raffaello / seconda e ultima parte.

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Raffaello aveva già respirato il clima culturale maturato alla corte del Duca Federico, con la possibilità di studiare la prospettiva nelle opere di Piero della Francesca. Sicuramente già conosceva le architetture di Francesco di Giorgio Martini e del Laurana, oltre quelle di Bramante, suo conterraneo, anche se la collaborazione attiva con il grande architetto arriverà solo nel 1509, per la chiesa romana di S. Eligio degli Orefici.

In ogni caso non può sfuggire la somiglianza del tempietto dello Sposalizio della Vergine con quello bramantesco di San Pietro in Montorio a Roma, che ricalca lo stesso passo strutturale, con la sola differenza del colonnato trilitico, sormontato da architravi piane al posto degli archi.

Le incertezze sulla datazione del progetto (1502 o 1510) a cavallo dell’opera raffaellesca, che risale al 1504, non aiutano a fare chiarezza sulla paternità del progetto, se sia da attribuire all’architetto o al pittore. Piace pensare che il tempietto di San Pietro in Montorio risalga all’attività matura di Donato Bramante, pertanto ispirato dalla precedente opera di Raffaello.

A favore di questa ipotesi contribuisce la soluzione con architravi piane che nel tempietto del Bramante permette di semplificare molto la realizzazione del manufatto, eliminando le spinte degli archi e delle volte, pertanto motivata da esigenze cantieristiche e strutturali che sembrano aver spinto verso una soluzione semplificata e più stabile. La realizzazione della struttura secondo il modello pittorico infatti avrebbe comportato notevoli difficoltà esecutive nella costruzione del portico con le volte a crociera impostate su moduli trapezi.

Certamente il confronto e la sovrapposizione del dipinto con l’opera architettonica trova una corrispondenza evidente e non casuale.

Il tempietto dello Sposalizio della Vergine mostra elementi architettonici comuni con un’altra famosa opera giovanile di Raffaello, l’Incoronazione della Vergine, o Pala degli Oddi, databile fra il 1502 e il 1503, commissionatagli per la chiesa di San Francesco al Prato di Perugia e ora visibile alla Galleria Borghese in Roma. In particolare, l’immagine del terzo riquadro della predella, che ha come soggetto la Presentazione al Tempio, mostra colonne cilindriche con capitelli ionici che saranno ripresi nello Sposalizio della Vergine, assieme al profilo degli archi a tutto sesto e delle cornici che anticipano l’opera tifernate e sottolineano l’evoluzione del suo percorso artistico.

Un’altra curiosa somiglianza si coglie attraverso il confronto con un’opera del secolo precedente; merita di essere sottolineata, sebbene sia difficile dimostrare una relazione diretta. Si tratta di una formella della Porta del Paradiso realizzata da Lorenzo Ghiberti nella prima metà del ´400 per il Battistero di Firenze.

Il portico circolare rappresentato nel bassorilievo del Ghiberti presenta delle similitudini con la base del tempietto raffaellesco e costituisce un tentativo di costruzione prospettica concepita secondo le regole già definite da Filippo Brunelleschi agli inizi del ´400, descritte da Leon Battista Alberti e messe in pratica nei decenni successivi.

Regole rigorose che rispondono alle leggi dell’ottica e della geometria descrittiva, ma che appaiono scontate a chi si affida a un approccio intuitivo basato su accorgimenti elementari, come accadeva nell’antichità. Molti dipinti rinvenuti a Pompei e in altri edifici romani mostrano composizioni prospettiche all’apparenza convincenti, ma che non superano le verifiche geometriche.

La prospettiva infatti è un metodo di rappresentazione della realtà già utilizzato dai Romani, senza che avessero chiaro il significato del punto di vista e dei punti di fuga.

Nel 1500 le regole geometriche erano chiare, quindi sorprende vedere che ancora oggi c’è chi confonde la prospettiva con la proiezione ortogonale. Riguardo la struttura del tempietto, ad esempio, una lettura fuorviante porta a concludere che l’edificio sia impostato su una base pentadecagonale (poligono a 15 lati), quale premessa per elaborare una fantasiosa teoria esoterica. Questo per il fatto che le colonne sullo sfondo non trovano corrispondenza con quelle frontali, condizione che sarebbe automaticamente rispettata in un prospetto, ma certamente non in una prospettiva.

Per quanto assurdo, questo serve a dimostrare come cinque secoli fa una corretta rappresentazione prospettica non era poi un’operazione così scontata, se ancora oggi c’è chi non riesce a interpretare correttamente questo dipinto.

Raffaello è pertanto esempio di perfezione e a fugare ogni dubbio basta confrontare il dipinto con la stessa visuale ricavata da una ricostruzione 3D del modello spaziale, sovrapponibile in ogni punto all’immagine pittorica. ◘

raffaello architetto 1

di Giovanni Cangi


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