Venerdì, 29 Marzo 2024

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Rischio estinzione

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Walter Ganapini, studioso e scienziato, è uno dei padri nobili dell’ambientalismo italiano. È membro del comitato scientifico dell’Agenzia europea per l’ambiente, ha fondato Legambiente ed è ex presidente di Greenpeace Italia.

Gli chiediamo perché il problema climatico diventa così urgente e quali rischi corrono le nuove generazioni.

«Il problema climatico è diventato irreversibile quando, dimenticando ogni monito proveniente dalla scienza nel grande summit sulla Terra di Rio del '92, si è deciso di non perseguire le politiche che già allora erano chiare. Si ammoniva che se la concentrazione di anidride in atmosfera fosse arrivata a 400 parti per milione il cambiamento sarebbe divenuto irreversibile. A quel tempo eravamo a 350 parti per milione. L’anidride carbonica era stata assunta come l’indicatore dell’emissione dei gas serra e si affermò che l’unico modello di sviluppo realizzabile doveva essere caratterizzato dalla sostenibilità. A Rio, nel '92, presero l’avvio le grandi convenzioni: quella sul clima, quella per la tutela della biodiversità, la convenzione per la messa al bando dei clorofluorocarburi responsabili del buco nell’ozono. Sostanzialmente queste convenzioni erano una pietra miliare e facevano chiarezza sulle necessità e priorità, ma avevano il difetto di non indicare tempi di attuazione ed eventuali sanzioni per chi non le ottemperasse. La soglia di anidride carbonica che segnava l’irreversibilità del cambiamento climatico è stata superata. Oggi siamo a 415 parti per milione e la scienza ci avverte che se raggiungiamo 450 siamo a rischio di estinzione». Lo scienziato insiste: «Non sono un allarmista, ma so che i numeri contano e occorre agire subito. I poteri che si oppongono a questo cambiamento hanno avviato strategie di green washing, basandosi su una piccola corte di negazionisti prezzolati e così siamo arrivati al 2015 con una situazione stagnante e intollerabile». C’è voluto papa Francesco con quel dono straordinario della Laudato Si', a ridare visibilità al grido della Terra e alla cultura dello scarto. «Questo dono ha fatto sì che alla Cop 21 a Parigi si potesse arrivare a un accordo, che per la prima volta impegnava i sottoscrittori su tempi certi e sulle priorità, rendendo cogenti gli obiettivi indicati. È stato un passaggio fondamentale che ha consentito alle Nazioni Unite di arrivare a proporre l’agenda 2030. I diciassette obiettivi di sviluppo sostenibile che la costituiscono vanno conseguiti entro questo termine».

Negli ultimi trent’anni la politica non si è spesa per risolvere i problemi ambientali. Li ha considerati marginali di fronte al profitto e alla globalizzazione. Perché?

«In generale i governi, a livello internazionale, non hanno dato buona prova di sé. È la classica volontà di non disturbare il manovratore, che è un gruppo di persone che controllano più della metà della produzione mondiale. Il prodotto interno lordo è quell’indicatore per il quale la guerra è positiva e la salute no, ma esso viene mantenuto come parametro».

Si tratta di una cerchia molto ristretta?

ScreenHunter 05 Nov. 28 20.30«Certamente. Detengono non solo la possibilità di originare conflitti veri e propri per controllare le materie prime, ma di controllare beni comuni come l’acqua e il suolo. Da diversi anni molti Paesi si accaparrano delle terre qua e là per il mondo, come la Cina, che in Africa controlla quasi 50 milioni di chilometri quadrati di terre; il Qatar e l’Indonesia stanno facendo la stessa operazione. Queste élite hanno anche il controllo dell’informazione, specialmente attraverso le nuove tecnologie e rendono le persone sempre più isolate. Intervengono anche sulla ricerca scientifica e la formazione, facendo in modo che non ci sia una reazione concreta sul problema del clima. Gli obiettivi di riduzione dell’innalzamento della temperatura globale sono stati annacquati e non abbiamo un pianeta B di riserva. La Terra è un sistema finito, le cui risorse sono limitate qualitativamente e quantitativamente, anche se ci hanno fatto credere che tutto fosse gestibile con il ricorso alla tecnologia».

Le giovani generazioni chiedono agli adulti un cambiamento di ottica e uno stile di vita adeguato alle sfide contemporanee. Di quale genere?

«La cosa fondamentale è che i giovani si battano sempre più per essere protagonisti. È in gioco la vita loro e dei loro figli. Il loro movimento va salutato come un avvenimento importante, ma sappiamo che c’è bisogno di affiancarli perché i signori che hanno in mano il controllo delle risorse e della comunicazione non hanno intenzione di cedere il proprio potere e ricorreranno a ogni mezzo. Dobbiamo rafforzare la loro volontà per dare corpo a esperienze concrete, per custodire la casa comune. Molte imprese hanno compreso questa necessità e stanno riprogrammando la propria produzione per essere sempre più compatibili con il limite delle risorse.

Quindi è cruciale evitare che l’azione dei giovani venga depotenziata con il “bla bla bla” istituzionale, che giustamente essi hanno criticato».

Anche in Italia si sta verificando un cambiamento climatico molto rapido. Potrebbe descriverlo in maniera succinta?

«Siamo nel cuore di un piccolo mare, la cui temperatura negli ultimi dieci anni è aumentata di 1,7 gradi centigradi e la cosa va osservata con molta attenzione perché i pesci hanno un valore di sopravvivenza che non deve scostarsi di +2 e -2 gradi centigradi da quello ottimale. Questo mutamento sta determinando l’ingresso nel Mediterraneo di specie aliene. Il lago Trasimeno negli ultimi dieci anni ha aumentato la sua temperatura di 2,2 gradi centigradi e la pesca tradizionale si sta esaurendo a causa dello stesso fenomeno. Questo aumento di temperatura ha portato alla comparsa nel Mediterraneo di uragani, come accaduto dieci giorni fa in Pianura Padana, dove si sono verificate sette trombe d’aria devastanti in un solo giorno. Era già stato anticipato negli anni novanta che l’Italia centro-meridionale va verso la desertificazione, mentre la parte centro-settentrionale verso la sub-tropicalizzazione, pioverà sempre di meno e in forma concentrata nel tempo, con eventi estremi».

Lei parla di energie alternative e di abbandono delle fonti fossili. Quali sono i centri di potere che si oppongono al cambiamento da lei descritto e per quali motivi?

«La decarbonizzazione e la defossilizzazione sono tutto quello che il mondo ci chiede di perseguire, perché oggi l’energia eolica, solare e geotermica sono competitive anche sul piano economico. Mi auguro che anche in Umbria prendano sempre più spazio esperienze di comunità energetiche, per autoprodurre energia elettrica e stoccarla, come è avvenuto a Cascia e Roccaporena, o come il progetto “Fra Sole Assisi”. Si lavora anche sulla mobilità elettrica e bisogna proteggere i patrimoni forestali per sottrarre anidride carbonica all’atmosfera. Basta cementificazione, basta agricoltura e zootecnia intensive, avanti con una riforestazione diffusa. Sono azioni concrete che vanno fatte e in fretta».

Il ministro della transizione ecologica ha accennato al ritorno al nucleare come fonte di energia. Qual è la sua opinione?

«Ciò che stona in modo intollerabile è il giochino di affermare che serve una centrale nucleare perché non emette anidride carbonica. Io sono contrario a demonizzare o divinizzare certe tecnologie e certi prodotti. Oggi, pensare di realizzare il nucleare è una sciocchezza, perché per complessità e tempi di realizzazione, non è certo la soluzione. Sono una sciocchezza anche i piccoli reattori che qualcuno vorrebbe proporre, sono allo studio dagli anni '80, senza alcun risultato. Ritengo che la ricerca in questo campo debba proseguire, ma dichiarare che il nucleare è la soluzione per il cambiamento climatico è una volgare scemenza». 

di Achille Rossi


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