Politica. La ricerca del Premio Nobel Giorgio Parisi aiuta a comprendere meglio i cambiamenti climatici.
Mai come quest’anno il Premio Nobel alla Fisica, assegnato lo scorso ottobre al fisico Giorgio Parisi e ai due scienziati Syukuro Manabe e Klaus Hasselmann, ha centrato un tema imprescindibile per la nostra stessa sopravvivenza. Quello di una ricerca di base che si lega all’indagine dei cambiamenti climatici, agli studi scientifici che dimostrano in modo inoppugnabile quanto l’innalzamento della temperatura media terrestre sia una conseguenza diretta dell’aumento di anidride carbonica in atmosfera.
L’Italia è tornata così al centro della ricerca scientifica, grazie al lavoro di un fisico d’eccellenza della scuola romana, radicata profondamente nella storia della facoltà di fisica della Sapienza di Roma. Giorgio Parisi si dichiara prima di tutto allievo di Nicola Cabibbo, dicendo che non avrebbe potuto ottenere questo riconoscimento se non si fosse appoggiato sulle spalle di giganti. Il suo discorso, nell’Aula Magna della Sapienza di Roma, è stato un manifesto di umiltà e di dedizione alla ricerca, la sua intera vita dedicata all’esplorazione dei sistemi lontani dall’equilibrio, dei sistemi cosiddetti disordinati.
D’altra parte, l’articolo scientifico che spiega le motivazioni di questo Premio Nobel, intitolato “Per i contributi pionieristici alla comprensione dei sistemi fisici complessi”, contiene un paragrafo che andrebbe imparato a memoria: «Riconosciamo che gli scienziati comprendono che nessuna predizione presa singolarmente può essere considerata una verità inattaccabile e che, senza comprendere l’origine della variabilità (vedi della tendenza al disordine o all’ordine) non possiamo comprendere a fondo il comportamento di nessun sistema». In parole povere, in qualsiasi campo, se trascuriamo e non consideriamo il disordine, ogni modello di evoluzione di qualsiasi sistema è fallibile. Parisi ha dedicato la sua vita a studiare il disordine, occupandosi di sistemi complessi. E questa è la definizione più generale possibile delle sue ricerche. Si è occupato di sistemi complessi tendenti al disordine. E di capire se nell’evoluzione verso il disordine, a partire da una condizione di equilibrio, si possono individuare stati di equilibrio, ovvero strutture prevedibili. Lo ha fatto creando modelli matematici nel campo della meccanica statistica. Ha cominciato osservando e studiando il volo degli storni e le coreografie dei loro stormi migratori, nel cielo romano autunnale. Migliaia di uccelli si muovono all'unisono all’imbrunire, roteano e scendono in picchiata come prendendo parte a una complessa coreografia. Le formazioni in volo mostrano un meccanismo di coordinazione locale che porta a una coordinazione collettiva, in cui ogni uccello si posiziona vicino agli esemplari più vicini (circa sette) e la coordinazione locale risulta nella coreografia di tutto lo stormo. Un altro campo in cui Parisi ha applicato la sua lente di fisico è quello dello studio del vetro. Cioè una sostanza che non fonde a una determinata temperatura trasformandosi in liquido, ma assume una forma malleabile, disordinata, le cui proprietà sono interessanti, avendo a che fare con sistemi cosiddetti frustrati. Ovvero sistemi di particelle che si organizzano in strutture, prevedibili e riproducibili attraverso una simulazione, quando ci sono delle condizioni energetiche che impediscono certe configurazioni.
I modelli elaborati da Parisi, nei vari ambiti della sua ricerca, sono utili a studiare altri sistemi più macroscopici, come appunto il clima sul nostro pianeta. Non a caso il Premio Nobel è stato assegnato per metà al fisico teorico romano e per un’altra metà a due scienziati che hanno affrontato e studiato il problema dei cambiamenti climatici, creando modelli e previsioni a oggi verificate. Syukuro Manabe, fin dagli anni sessanta, ha guidato lo sviluppo di modelli fisici del clima terrestre, esplorando l’interazione tra il bilanciamento della radiazione solare nell’atmosfera terrestre e il trasporto verticale delle masse d’aria. I suoi studi hanno portato a dimostrare quantitativamente la relazione tra l’aumento della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera e l’innalzamento della temperatura sulla superficie terrestre. D’altra parte, Klaus Hasselmann ha concepito modelli per mettere in correlazione il clima con la meteorologia, trovando risposte all’interrogativo del perché i modelli climatici possano considerarsi affidabili, pur essendo il meteo un sistema caotico e variabile. I metodi di Hasselmann sono serviti a identificare le varie ‘impronte’, sia umane che dovute a fenomeni naturali, capaci di influenzare il clima sulla terra. E, proprio grazie ai suoi risultati, ormai è innegabile quale sia il contributo umano all’anidride carbonica immessa in atmosfera, direttamente collegato alla crescita della temperatura media terrestre.
Pensiamo all’inizio dell’era cosiddetta antropica, quella cominciata dall’evoluzione della specie umana sul pianeta Terra, o meglio dal momento in cui la nostra specie ha trovato il modo di diventare stanziale, inventando l’agricoltura, circa diecimila anni fa. Da allora, da quel bisogno di stasi, di radici, di crescita, di aumento senza limiti di bisogni non di primaria importanza, da quella tendenza, inizialmente solo una piccola variazione di esigenze di vita, rispetto alle altre specie che popolano la Terra tutta, è iniziato un cammino fondato sulla possibilità di poter contare sulle risorse infinite di un pianeta che purtroppo infinito non è, né in termini di spazio né forse di tempo. Questo errore di valutazione rispetto alle risorse del pianeta, tutto sommato trascurabile nell’ottica originaria del progresso senza limiti della specie umana, ha portato all’evoluzione della vita verso il totale disequilibrio dell’epoca attuale.
A pochi giorni dall’assegnazione del Premio, si è svolta la Cop26. Il tema dell’equilibrio del pianeta è ormai centrale e imprescindibile, così come quello dei sistemi fuori dall’equilibrio, la possibilità di studiarne l’evoluzione, di predirne gli stati, di contrastare le conseguenze più devastanti delle nostre azioni passate sul futuro di una vita sempre più in bilico. Ci sono di monito le parole di Greta Thunberg: «Non è un segreto che la Cop26 sia un fallimento. Non possiamo uscire dalla crisi climatica utilizzando gli stessi mezzi che l’hanno creata. E sempre più persone lo stanno capendo». D’altra parte la scienza esatta, la fisica in particolare, ripone la fiducia in un cambiamento possibile, in una possibile inversione di rotta. Scrive Parisi nel suo saggio uscito per Rizzoli In un volo di storni. Le meraviglie dei sistemi complessi: «Le idee spesso sono come un boomerang. Partono in una direzione ma poi vanno a finire altrove. Se si ottengono risultati interessanti e insoliti, le applicazioni possono apparire in campi assolutamente imprevisti». ◘
di Marta Cerù.