Editoriale.
Il gesto più serio da parte della comunità internazionale sarebbe quello di sospendere il premio Nobel per la pace di Abiy Ahmed, siglato tra Etiopia ed Eritrea. L’accordo tra i due Paesi ha avuto il pregio di far cessare la guerra, ma l’atteggiamento del primo ministro ha innescato uno scontro mortale all’interno dell’Etiopia, tra il popolo tigrino e il governo centrale. Ahmed pensava di sottomettere la resistenza locale, ha inviato l’esercito a controllare la zona, tagliato tutte le comunicazioni, comprese le organizzazioni umanitarie e il Paese è sprofondato nella violenza, nelle atrocità, nella carestia. Mancano i viveri e i medicinali, le uniche ad abbondare sono le armi.
Abiy Ahmed ha fatto spesa. Ha acquistato dalla Turchia 10 droni da bombardamento da assemblare sul posto, piccole munizioni intelligenti da sganciare in volo e probabilmente 20 elicotteri di fattura turca. La spola tra Ankara, Somalia ed Eritrea è stata incessante e ha permesso agli etiopi di trasportare armi e munizioni, trasgredendo le leggi internazionali che vietano la vendita di armi a Paesi in guerra. L’intraprendenza di Ahmed si è rivolta anche alla Cina, che gli ha fornito artiglierie terrestri per colpire la guerriglia, e agli Emirati Arabi, che non hanno badato a spese e hanno inondato il Paese di fucili di precisione, pick up e munizioni.
Così il conflitto scatenato dal primo ministro etiope si è trasformato in una guerra distruttiva, in una vera e propria pulizia etnica contro un popolo trattato come straniero. Sono troppo flebili le voci internazionali che denunciano le atrocità contro i civili in questi 13 mesi, chiedono di fermare i bombardamenti aerei e la pulizia etnica con gli arresti arbitrari. La revoca del Nobel a Abiy Ahmed servirebbe se non altro a scuotere le coscienze. ◘
Redazione Altrapagina