Giochiamo – inizio anni ’50 – davanti alla chiesa di San Bernardino, quando l’attenzione è attratta dall’ambulanza beige che si è fermata davanti all’orologiaio, in fondo alla discesa del ponte della Regghia. Alberto (Rondoni), l’autista orgoglioso del nuovo mezzo che da poco ha sostituito la lettiga a mano, è in attesa di portare il malato all’ospedale.
Lasciamo che la palla abbandonata rotoli verso la Caminella. Dalle case tutti si affacciano o scendono in strada, domandandosi chi sarà e cosa avrà. Si diffonde la voce che ha i sintomi della poliomielite, la piaga del momento. Nell’afa scende un silenzio attonito. Esce dalla chiesa don Luigi (Cozzari), nella lunga tonaca nera. Ci incoraggia: “Dite tante giaculatorie alla Madonna”. Obbediamo, con molto più fervore rispetto alle consuete, lievi, penitenze dopo la confessione. Ci impegniamo al massimo, di continuo, riscuotendoci non appena ci accorgiamo dell’eccessivo intervallo fra una invocazione e la successiva.
Gino (Acquisti), più grandicello, ci guida nell’orto del babbo. Carpisce due capi dalla “pracetta” dell’aglio. Ne ingoiamo due specce ciascuno. Scuotiamo il sacchetto di stoffa che portiamo al collo, per aumentare gli effluvi della canfora, che le mamme hanno aggiunto alla medaglina della Madonna e al santino: disinfezione e devozione. Sono i soli antidoti per schermarci dal male che, meteora misteriosa, colpisce a caso.
Allora potevamo contare su aglio, canfora e giaculatorie. Ma soprattutto su mutua solidarietà.
Oggi tutto è ribaltato. Possiamo guardare in faccia le gigantografie del virus. Possiamo fruire del vaccino che la scienza ci ha prodigiosamente messo a disposizione. Ma moltitudini non hanno gradito. I sociologi, i filosofi, gli antropologi e gli psichiatri potranno spiegare le motivazioni dell’assurdo.
Il risultato è certo: una pandemia, ben più grave di quella provocata dal virus che ci sta aggredendo dall’esterno, corrode dall’interno il contratto sociale su cui è basata la convivenza civile nelle democrazie. Il vaccino per questa pandemia intellettiva richiede raziocinio, se c’è, e i tempi lunghissimi della cultura. ◘
di Mario Tosti