Cultura. Raffaello giovane a Città di Castello e il suo sguardo.
Non avevamo sbagliato a nutrire dubbi sull’apertura della mostra su Raffaello per il 30 ottobre. L’evento è stato regolarmente inaugurato rispettando la data prefissata, ma si intuisce subito, appena varcata la soglia d’ingresso allo stesso, che si è arrivati all’appuntamento con il fiato in gola. Complici il Covid, i continui rimandi, le difficoltà di allestimento, rese più complicate dalle procedure burocratiche divenute una giungla. Della mostra su Raffaello si parla dal 2018. L’attesa era molto grande per un evento che avrebbe dovuto, agli occhi di politici e organizzatori, attirare l’attenzione regionale e nazionale su uno dei principali appuntamenti programmati per il 500nario della morte del grande artista. Il progetto prevedeva di allestire un percorso espositivo che rendesse onore all’opera giovanile raffaellesca, che ha avuto proprio a Città di Castello il suo periodo più significativo. Soggiorno fecondo di tante opere e di ispirazioni che poi hanno trovato altrove compiuta espressione. Ciò non toglie che il passaggio di Raffaello a Città di Castello sia stato di fondamentale importanza per la formazione di uno dei più grandi geni della pittura e non solo, cosa non sempre adeguatamente compresa e valorizzata. Perciò l’evento in cantiere assume un valore quasi riparatorio: dare a questo passaggio una rilevanza nota finora solo agli addetti, anche se non a tutti, ma sfuggente alla gran parte degli osservatori, dei politici e degli stessi tifernati. La mostra, quindi, dovrebbe rendere ragione del rapporto tra questo obiettivo fortemente atteso e il risultato effettivo.
La prima cosa che colpisce subito all’ingresso della mostra, allestito in maniera consona dalla parte dei giardini, che consente di ammirare in tutta la sua bellezza la facciata del Palazzo Vitelli alla Cannoniera disegnata dal Vasari, sono i fari puntati contro i dipinti. L’intensità della luce rischia di far perdere vigore alla cromaticità delle opere e alla qualità della pittura raffaellesca. L’allestimento appare ridondante, non esaltando, bensì occultando quasi tutte le opere del piano nobile del palazzo (ne restano visibili pochissime, tra cui quelle di Francesco Tifernate, che fanno da corollario all’opera raffaellesca). Diverso sarebbe stato se la mostra fosse stata allestita nei locali dedicati alle esposizioni temporanee. Con il presente allestimento non si consente la fruizione delle opere al piano nobile a chi venisse a visitare la pinacoteca per la prima volta, magari da fuori Regione. E se vengono chiusi i tendaggi, si rischia di non vedere la sezione dei disegni (tra cui uno Studio di volto femminile proveniente da Oxford di mano del Sanzio e uno Studio di testa di proprietà della Galleria degli Uffizi di Firenze, attribuito all’Urbinate).
L’esposizione appare centrata sulla pala di San Nicola da Tolentino, di cui sono stati prestati dei lacerti dal Museo di Capodimonte di Napoli (il Comune di Città di Castello ha pagato per il restauro) e l’Angelo dalla Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia. Per far comprendere come fosse in origine l’opera raffaellesca, il Comune di Città di Castello ha commissionato al Museo Galileo di Firenze una ricostruzione in 3D dell’opera (all’inizio si disse che sarebbe stata interattiva, ma non pare esserlo). Nulla è stato prestato dal Louvre, proprietario di un lacerto della pala raffaellesca di San Nicola da Tolentino. In mostra figura la copia di Ermenegildo Costantini del 1791, già nella collezione permanente della pinacoteca tifernate.
In una sala sono stati collocati lo Stendardo di Raffaello (restaurato per l’occasione dall’Istituto centrale per il restauro, pagato dal Comune di Città di Castello) e il Martirio di San Sebastiano di Luca Signorelli, ambedue già nella collezione permanente della pinacoteca tifernate. I due maestri non si conobbero in vita, ma Raffaello osservò l’opera signorelliana quando gli fu commissionata la Crocifissione Gavari, successivamente denominata Mond (ora alla National Gallery di Londra). Infatti il Martirio di San Sebastiano si trovava già nella chiesa tifernate di San Domenico, la stessa dove l’Urbinate dipinse la Crocifissione. Per mostrare l’influsso del Cortonese sul giovane Sanzio sarebbe stato però più opportuno – a nostro modesto avviso – confrontare, anziché i disegni, il balestriere signorelliano all’estrema destra con il giovane che spezza la verga nello Sposalizio di Raffaello (ora a Brera).
Fanno da corollario alla mostra alcuni lavori di Perugino (provenienti da Perugia, Fano e Pavia), di Giovanni Santi, padre di Raffaello (da Urbino), Pinturicchio (da San Severino Marche) e Girolamo Genga (da Firenze).
Probabilmente un allestimento diverso dell'esposizione non avrebbe privato il visitatore del godimento della collezione permanente, come in questo caso. In complesso, le opere messe in mostra hanno una loro dignità e una cospicua consistenza pittorica.
La promozione ha costituito un punto debole dell'esposizione. La sua pubblicizzazione avrebbe dovuto partire da lontano, invece all’inizio sono apparsi alcuni articoli reperibili in internet riconducibili a testate umbre, mentre altri interventi in riviste, giornali ed emittenti tv di livello nazionale sono apparsi a mostra già iniziata.
Quale ricaduta ci sarà dunque per il territorio tifernate? Le prime informazioni che siamo riusciti a raccogliere presso gli altri musei cittadini affermano valori contrastanti. Il Museo del Duomo ha registrato a ottobre 353 visitatori e a novembre 510, mentre il Museo Burri ha registrato a ottobre 852 ingressi e a novembre 684 ingressi. Per ora, quindi, grande movimento non c’è stato. Una valutazione complessiva si potrà fare solo alla chiusura, e solo allora si potrà capire se la mostra avrà la forza di esercitare un’onda lunga capace di destare interesse per il complesso delle opere artistiche presenti in città, sia di Raffaello che di altri artisti. Certo non si può dire che il 500nario della morte di Raffaello sia caduto sotto una buona stella. La pandemia ha condizionato il suo esito dall’inizio fino alla sua ultima variante Omicron, che, probabilmente, ridurrà il flusso dei visitatori possibili.
A proposito dello Sposalizio della Vergine, la sala finale della mostra ne presenta una copia effettuata da un laboratorio tifernate (donata alla Pinacoteca). Il laboratorio è stato ricostituito all’interno della mostra stessa per rappresentare la modalità pittorica dell’Urbinate. Cosa di indubbio interesse. Meno interessante è che all'interno di uno spazio pubblico figurino, a mo’ di promozione, anche i biglietti da visita del laboratorio… Si resta abbastanza sconcertati da questa promozione (nella seconda pinacoteca pubblica in Umbria dopo quella di Perugia), vedendo anche le copie di una Madonna di Neri di Bicci e addirittura della Gioconda, che non ricordavamo fosse stata dipinta da Raffaello…
Una nota positiva viene dal catalogo che, seppur arrivato dopo circa tre settimane dall’inaugurazione, appare di buona fattura, per tre quarti corredato da interventi di approfondimento da parte di studiosi qualificati e un quarto dedicato a una serie di tavole rappresentanti il lavoro del pittore. Resta da capire come sarà la distribuzione del libro, visto che nel capitolato di spesa tra la casa editrice e il Comune di Città di Castello questa voce non pare contemplata, nonostante il costo del volume risulti notevole. ◘
Redazione l'Altrapagina.it