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La fine indecorosa di Glasgow e Italia

Ambiente. Cop 26 di Glasgow si è rivelata un flop sull'ambiente.

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La Cop 26 si chiude tra decisioni non prese e rinvii ulteriori. Sulle questioni centrali, infatti, i membri del vertice non sono riusciti a trovare un accordo. Il documento finale è stato pubblicato il 14 novembre e il testo lascia perplessi, soprattutto per tutti i nodi irrisolti.

Secondo il presidente della Cop 26, Alok Sharma, è un patto “da proteggere”, nonostante non sia il migliore dei documenti possibili. Ma, a dire la verità, questa versione edulcorata dell’accordo, è di fatto una delle peggiori che si potessero immaginare.

I capitoli del documento che riguardano finanza e mitigazione risultano del tutto diversi rispetto alle prime bozze uscite nella settimana precedente.

È sparito completamente l’impegno tassativo al mantenimento della temperatura al di sotto di 1,5 gradi entro il 2030, e si parla solo di “fare tutti gli sforzi per limitarla” al di sotto di questa soglia. Ma di fatto l’obiettivo finale rimangono i 2°C esattamente come già previsto nell’accordo di Parigi del 2015. E poi sono spariti i 100 miliardi di dollari promessi nei primi giorni del dopo vertice, dedicati alla finanza, che sarebbero dovuti andare ai Paesi less developed (meno sviluppati). Infine c’è il tema dell’uscita dal carbone: dopo l’opposizione di India e Cina nella nottata finale delle trattative, si è riusciti a modificare phasing out nella formula phase down unabated fuels, sarebbe a dire riduzione delle fonti fossili e non uscita.

Non solo, quell’unabated significa che continuano a essere utilizzabili le fonti fossili “abbattibili” con tecnologie, come lo stoccaggio di CO2 per esempio, quindi il gas rimane nell’accordo. Certo, almeno ci si è impegnati a “rivedere a livello nazionale i propri target di emissioni entro la fine del 2022 in modo da rispettare gli obiettivi di Parigi”, ma di fatto questo vuol dire rinviare nuovamente a un ulteriore vertice di discussione la decisione.

L’ultimo impegno, per così dire “positivo”, riguarderebbe il fondo destinato “ai danni e alle perdite” subite dai Paesi vittime degli impatti ambientali. Si invitano tutti i Paesi a prevedere investimenti al riguardo, e anche qui tutto rinviato alla discussione in Egitto. Non è chiaro, però, né quanti fondi saranno destinati a questo impegno, né se effettivamente esista una strategia condivisa della Cop su questo, al di là dei singoli impegni nazionali. Un fallimento su tutta la linea quindi.

L’Italia non va meglio. Di fatto esce da questo vertice senza niente in mano. Si è sfilata dall’accordo sul settore automotive per un’uscita rapida dalla produzione di veicoli a benzina e il nostro ministro Roberto Cingolani è tornato a parlare di nucleare come panacea di tutti i mali e del gas come migliore amico della transizione.  

Quando si è trattato di prendere posizione sulle fonti fossili Cingolani è tornato a fare spallucce: all’alleanza Boga (Beyond Oil and Gas Alliance), che punta a una graduale eliminazione della produzione di petrolio e gas attraverso obiettivi tangibili e misurabili, il nostro Paese darà il suo sostegno as a friend (ovvero come osservatore esterno), senza impegnarsi ad assumere alcuna decisione.

Ad oggi, a politiche correnti, l’Italia ridurrà di appena il 26% le emissioni al 2030, circa la metà del più blando dei target raccomandati della comunità scientifica. Con il Pniec (Piano nazionale integrato per l’energia e il clima) ha previsto di aumentare la percentuale al 36%, ma il piano implementativo langue.

Se tutti i Paesi seguissero il nostro esempio, lo scenario a fine secolo sarebbe torrido, con +3C di temperature medie. Calcolando il carbon budget dell’Italia e le sue responsabilità storiche, in uno studio commissionato dall’Associazione A Sud, Climate Analytics, una delle più importanti organizzazioni che si occupano di ricerca sul clima, ha calcolato che il nostro Paese dovrebbe diminuire le sue emissioni di ben il 92% entro il 2030 per poter rimanere in linea con gli accordi di Parigi. Più del triplo di quanto attualmente in campo.

Intanto arrivano i nuovi dati internazionali del Carbon Action Tracker, una delle organizzazioni più accreditate per la ricerca sul clima. Nel loro report dal titolo Gap di credibilità di Glasgow per il 2030 gli scienziati di Cat hanno calcolato che, con le promesse e gli impegni in campo (inclusi quelli in ballo a Glasgow), il mondo si avvia verso un riscaldamento di +2,4°C entro la fine del secolo. L’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) delle Nazioni Unite stima addirittura uno scenario fino a 5°C. Ma i grandi della Terra sembrano avere ancora tempo da perdere e si danno appuntamento alla prossima Conferenza delle Parti. ◘

di Madi Ferrucci


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