Rubrica E sia poesia a cura di Gio2.
La poesia di Antonella Giacon in Pegno d’amore (edizioni Corsare 2001) è ciò che resta (LXXII) di un amore che ha lasciato traccia. È ricognizione di un percorso e di un tempo rappresi, a ricordare per frammenti, quanti sono i frantumi, mille gretti (XVII) di corpo, ossa, anima. È un pieno di pressioni e di sensualità, o di attesa, mancanza, vuota assenza (XIII).
In Pegno d’amore la scrittura, severa, asciutta, non eccede, non concede, ma taglia netta verso l’essenziale, il nocciolo della verità incarnata: l’amore come cura (XXVIII) e disciplina dura di dolcezza (LIII), tenerezza e pietà di briciola piccina (IX), eterno misfatto (VI) fino alla sentenza: se l’amore è una partita sol vincere può uno alla volta (XI).
La scelta del verso breve, inciso incalzante, in una lingua piena e densa, classica e colta, dice il piacere, il singhiozzo, il desiderio, l’abbandono. Dove si tesse il suono per farne parola (LXVII) là è la poeta artista. Servono le parole per ricordare, e per guarire il corpo affannato dall’amore, come gocce distillate o note musicali, per uscire al respiro, all’aria, alla distanza, alla comunicazione. Da qui la poesia come guarigione e percorso di identità non so tenere drappi/ né filare/ solo con le parole/ so onorare. E ancora conoscenza di sé nell’altro, meditazione, consapevolezza, salvezza, corda da afferrare/ e grazie rendo a lei/ per questo fiore/ che nasce ora/ in pegno d’amore (XXXVI). E la narrazione, il racconto ne acquista spessore e senso. La poesia di Antonella Giacon è il graffio sottile della penna, perché la poesia più di altre forme di scrittura va scritta “a mano”, presa e raccolta con una penna o matita; la poesia è contatto, fisicità, corporeità, postura, gestualità. Ho partecipato ai corsi di scrittura creativa tenuti da Antonella e ancora mi porto nel ricordo la suggestione del rituale degli incontri. Antonella usava una bella penna stilografica che a un certo punto tirava fuori dall’astuccio come segnale di inizio. Riporto una sua nota autobiografica: «Amavo talmente la scrittura che a quattro anni ripassavo con uno stuzzicadenti le scritte dei miei libri di favole illustrati immaginando di averli scritti io stessa».
Nata a Padova – “in pieno centro storico, a pochi passi dalla basilica del santo… da grande avrei voluto fare la ballerina, la scrittrice o la maestra” –, ha realizzato i suoi obiettivi, anche ballerina di danza popolare e tango! È tra i soci fondatori dell’Associazione poetica il Merendacolo, formatrice di scrittura creativa e didattica della poesia nelle scuole e in corsi per adulti, ha operato anche nella sezione femminile del Carcere di Capanne. Antonella va dietro alle sue curiosità, passioni e visioni, sempre con il bagaglio delle parole, ne fa esperienza e sperimentazione di creatività rinnovata, come alcune collaborazioni e regie di performance e spettacoli di poesia e musica e fotografia, danzaterapia, video. E tutto diventa occasione di scrittura, invenzione, ricerca di linguaggi, di nuove forme espressive e spiragli per scoprire e rintracciare luoghi, persone, legami, memorie. Possiamo leggere allora la leggerezza di Sottopressione (Fara editore 1994), elegante piccolo libro, dove danza la parola (pag. 45), quasi un diario di vita, altrove?, in cui gli oggetti, le persone, gli amori, i cieli, erbe e animali, piccoli segni immediati, aprono la visione di una situazione di semplicità, di “foto in bianco e nero” (pag. 36) quasi fossero la felicità.
…i girotondi/ estivi cerchi di fuoco” (pag. 45), le biciclette nella notte, i silenzi e le stelle femminacce, e insieme ci s’incontra/ ancora/a parlare/ ... Poi si gioca/ a pallone/ al buio poco/ si vede, solo la luna/ sbianca il viso (pag. 17). Qui Antonella, tra fughe chiamate partenze (pag. 38), prende nota per la memoria e la nostalgia future perché «la scrittura a volte mi ha un po’ salvato, perché riuscire a dire quello che c’è dentro o fuori è importante, dà pace, dà forza e coraggio, fa ordine nel caos della mente e del cuore».
…tante volte avrei potuto tornare/ ma sempre c’era un ritardo/…tante volte avrei voluto tornare…/ prima che il buio/ mi rendesse/ ancora più straniera (pag. 40). E forse non è un caso che a questo punto del libro Antonella inserisca alcune poesie in lingua veneta, nella lingua delle origini. «È una lingua che necessita di essere pronunciata» dice in una intervista a Brunella Bruschi (Femminilmente, edizioni Era Nuova 2008, pag. 60) e sentirla leggere è un ascolto con un valore aggiunto di suoni e musicalità dolci e pensosità intima come dondolarsi su filastrocche e ninne nanne e raccogliere un filo lasciato in un altrove materno. Sta vita che bruza/ che striga che sbrissa/ che taia che verze/ che core che perde/ che no se scatiia/ sta vita che ofende,/ che strinze che tira/ che sera che inciava/ che spinze che cava/ che spaca che strassa/ che spua che roversa/ che stua che impissa/ che strucca che strissa/ che sbrega che liga/ sta vita che siga.
È una radice d’amore che sta tra le sue eredità e forse è una trama musicale per le sue poesie altre.
Non tutto è stato pubblicato di Antonella Giacon, ma in rete c’è molta produzione poetica. Per esempio Nudi (2005), incursione forte, carnale, ironica, nel mondo dei maschi con un’altra invenzione di linguaggio nell’interpretare l’amore, il sesso, i legami. Un gioco, uno smascheramento: mettere a nudo gli uomini. …quella notte/ è successo di tutto/ così dice./ lei parlava /piangeva / mi stringeva la mano./ peccato che io dormivo.
Da Onore al padre (2001, altro testo in rete): ballava mio padre/ in quell’estate/ e senza fretta/ teneva nelle mani/ le mie mani.
E ancora: un giorno/ hai vouto/ vestirmi tu./ mi hai infilato/ all’inverso le scarpe,/ la sinistra con la destra,/ e ai miei pianti/ hai risposto:/ non far storie/ cammina/fino a sera/ mi sono torturata/ in quell’errore/ fino all’abitudine./ ignara io/ ignaro tu/ che quel gesto era/ un destino. Il destino (?) Che incide segni e legami e memorie, si fa identità e conoscenza, vissuta e sentita, patita o goduta, e crea echi di voci e suoni di parole, se si è capaci di porsi in ascolto. ◘
di Rossana Stella