Colture. Filiere agricole in Alto Tevere tra passato, presente e futuro.
Le strategie socio-economiche che riguardano la programmazione delle produzioni agricole in Alto Tevere necessitano di essere innovate, partendo da una attenta valutazione e analisi dei dati che porti poi a scelte oggettive, superando la cultura di perpetuare quello che si è fatto fino a oggi. Nell’immaginario comune le produzioni agricole nell’Alto Tevere si identificano con la produzione di tabacco, che innegabilmente ha avuto storicamente un’importanza fondamentale nell’economia locale: la sua alta redditività ha generato elevata diffusione e ha costituito un importante serbatoio finanziario, che uomini capaci, pionieri dell’intraprendenza economica, hanno utilizzato per investire nell’industria e nell’artigianato, contribuendo così a creare il tessuto sociale caratteristico della zona. Però, poi, le cose si sono evolute, così come le tabelle che seguono dimostrano chiaramente.
Preliminarmente, però, voglio precisare che, parlando di coltivazioni, non mi riferisco mai alla loro sostenibilità ambientale, perché non esistono coltivazioni sostenibili o non sostenibili; la loro sostenibilità dipende esclusivamente dalla scelta del metodo produttivo. Voglio, con le tabelle, soltanto definire valutazioni socio-economiche.
Le tabelle riportate dimostrano che:
mentre prima era coinvolto un numero rilevante di agricoltori, oggi la produzione è accentrata, in maniera sempre più marcata su poche aziende;
i ricavi nel tempo sono rimasti pressoché immutati, perché l’aumento del prezzo di vendita ha assorbito la diminuzione degli aiuti europei;
la redditività, però, è diminuita notevolmente a causa dell’aumento dei costi di produzione;
gli aiuti europei sono progressivamente diminuiti nel tempo e i segnali che giungono sembrano confermare questo trend, infatti l’orientamento è quello di erogare, nel corso della durata della nuova Pac (Politica agricola comune), gli stessi aiuti a tutte le colture;
nella produzione mondiale di tabacco l’Italia gioca un ruolo del tutto marginale, che peraltro potrebbe essere assorbito senza sforzo alcuno, ad esempio dalla Cina che da sola copre il 42% della richiesta globale.
Ai dati inconfutabili illustrati vanno aggiunte alcune considerazioni:
la partita della produzione mondiale di tabacco si gioca, secondo interessi, tra governi nazionali e aziende multinazionali, che operano nel settore, per cui non è escluso che, se i loro interessi economici dovessero suggerire diversamente, le cose in Alto Tevere potrebbero cambiare;
alcuni degli accordi stipulati ultimamente tra Governo nazionale e aziende multinazionali del tabacco hanno una validità annuale e riguardano soltanto gli aspetti quantitativi della produzione e non il prezzo di vendita;
chiaramente questo è motivo di incertezza per gli agricoltori, i quali per l’aumento dei costi di produzione vedono sempre più risicata la loro redditività;
nella sua forma finale il tabacco non ha affatto una vocazione territoriale di appartenenza, infatti nelle sigarette non vi è alcuna indicazione del Paese di origine della produzione.
Per quanto detto, il tabacco ha vissuto un passato fulgido, vive un presente soddisfacente per alcuni, vive prospettive future che non offrono certezza.
La tabacchicoltura potrà sopravvivere in Alto Tevere, come negli altri distretti produttivi, nel momento in cui la filiera potrà garantire pluriennalità dei contratti e sostenibilità ambientale ed economica.
Pertanto, la programmazione nazionale e regionale non può essere disgiunta da quella europea, che ha delineato obiettivi in maniera chiara; fondati sulla biodiversità assieme a metodi di produzione che assicurino la maggiore sostenibilità possibile dal punto di vista ambientale, la cui massima espressione è il biologico.
Conoscenze scientifiche, consapevolezza sempre più diffusa del diritto alla salute, consapevolezza del dovere di mantenere l’ambiente così come l’abbiamo ereditato rendono ormai ineludibile l’applicazione di questi obiettivi.
Gli aiuti europei sempre più riguarderanno biodiversità e metodi biologici di produzione, cioè quelli ambientalmente più sostenibili e che garantiscono un giusto equilibrio nella diversificazione.
Non ritengo sia possibile, né tantomeno utile, sostituire il tabacco in Alto Tevere, semplicemente perché non è costruttivo sostituire una monocoltura con un’altra monocoltura intensiva, piuttosto penso sia conveniente innovare il settore integrandolo anche con processi commerciali diversi (accorciando le filiere) e con metodi di coltivazione biologica, in linea con quanto richiesto dalla Unione europea.
D’altra parte l’attenzione dedicata al tabacco non deve assolutamente soffocare l’attenzione da porre nella ricerca e sperimentazione di colture alternative o complementari, perché queste esistono, le stiamo già introducendo (ad esempio: luppolo, nocciolo, canapa, ecc.) e vanno governate in modo da non ricadere negli errori fatti in passato. Le parole chiave devono essere ambiente e territorio: quindi coltivazioni che non danneggino l’ecosistema e chi lo abita e con un impatto equilibrato, che tenga conto anche del valore turistico del nostro territorio. ◘
Di Luca Saltieri