Arte di Maria Sensi.
Partendo dal contemporaneo e andando a ritroso nel tempo, Bologna offre diverse interessanti proposte. “Arte Fiera”, la più longeva fiera d’arte italiana, prevista a fine gennaio, causa Covid è stata purtroppo rimandata a data da destinarsi. Fondata nel 1974, rimane fedele alla propria vocazione: essere la manifestazione di riferimento per le gallerie e per l’arte italiana del XX e XXI secolo. La selezione mira a dare spazio alle poetiche individuali, con l’esplicito invito rivolto agli espositori di presentare un numero limitato di artisti. Come in passato, inoltre, sono state incoraggiate le proposte monografiche, tanto per gli artisti storicizzati che per le ultime generazioni.
Spostandoci a Palazzo Albergati, si può visitare (fino al 13 marzo) in occasione del novantesimo anniversario della sua morte avvenuta a Parigi nel 1931, una mostra dedicata al ferrarese Giovanni Boldini. Il fascino femminile, gli abiti sontuosi e fruscianti, i salotti della Belle époque: in circa 90 opere si ritrova il mondo di un pittore che ha saputo carpire le atmosfere di un’epoca straordinaria, in cui arte, letteratura, moda, musica e lusso si confondono. L’esposizione presenta anche opere di artisti a lui contemporanei, tra i quali segnaliamo Vittorio Matteo Corcos, Federico Zandomeneghi, Gustave Léonard De Jonghe, Raimundo de Madrazo y Garreta, Pompeo Massani, Salvatore Postiglione, José Villegas y Cordero, Alessandro Rontini, Ettore Tito, Cesare Saccaggi e Paul-César Helleu.
Spostiamoci ora alla Pinacoteca nazionale, dove (fino al 20 febbraio) viene presentata una mostra che vuole approfondire il tema dei rapporti tra la città di Bologna e Antonio Canova (1757-1822), evidenziando anche il ruolo dello scultore nella storia della collezione museale. Il maestro del Neoclassicismo contribuì infatti ad operazioni diplomatiche di straordinaria rilevanza per il patrimonio artistico cittadino, recuperandolo in larga parte dalla Francia, dove era stato accumulato a causa delle spoliazioni napoleoniche.
E ora tuffiamoci nella cosiddetta Età di mezzo. Fino al 2 febbraio all’Archiginnasio (ingresso libero, telefono: 051.276811) una mostra indaga il ruolo che i predicatori ebbero nella Bologna medievale attraverso la figura del maggiore di essi, San Domenico, fondatore dell’Ordine dei predicatori, che morì in città nel 1221.
In rapporto quasi simbiotico con la società urbana, con una città tra i maggiori centri culturali dell’epoca, i predicatori contribuirono a formare un orizzonte culturale e religioso largamente condiviso. Guardare i libri legati alla predicazione è un modo per recuperare «una voce nella città»: certo non unica, ma cruciale. Nel silenzio dei libri, parole e immagini restituiscono voce a questi maestri della comunicazione che, nel bene e nel male, contribuirono a plasmare la società del tempo. Simbolo di tale legame è anche l’immagine che guida la mostra, che riproduce Domenico che regge in mano una città. Si tratta di una rivendicazione precisa, che nella Firenze di Savonarola o nella Wittenberg di Lutero troverà tentativi di attuazione. La predicazione poteva infatti aggregare, creare consenso e, al contempo, essere un’arma contro i nemici della fede. ◘
di Maria Sensi