Editoriale. Quirinalizie: i giochi per la nomina del nuovo Presidente della Repubblica.
Tra pochi giorni, il 24 gennaio, iniziano le votazioni per il Quirinale. Nessuno sa come finirà. Si parla di lotteria, di roulette russa, di gioco dell’oca. Viene in mente, con una valenza diversa dall’originaria, l’immagine lukácsiana del «Grand’Hotel Abisso»: l’abisso in cui i nostri autoreferenziali gruppi dirigenti, in una grave situazione di pandemia virale e perdurante crisi sociale, rischiano di sprofondare la nostra ormai debole democrazia parlamentare. Da due anni il Covid ci ha costretti a vivere in stato d’emergenza, ma l’emergenza istituzionale e la crisi sociale datano da oltre vent’anni. E portano il marchio di Berlusconi, finora il principale competitor di Draghi per il Colle.
Al di là dell’incomparabile statura morale dei due, una cosa li unisce, apparentemente banale: l’autocandidatura. E per di più Draghi si autocandida al Quirinale nella condizione di Presidente del Consiglio in carica. Una novità inaudita nella storia della Repubblica. Come mai? Si tratta di eleggere la massima carica dello Stato. E chi la elegge è il Parlamento. Autocandidarsi, e con largo anticipo, non offende e svilisce la dignità del Parlamento? Non è indice di atteggiamento apertamente o subdolamente «autocratico»?
Ebbene, la via dell’«autocrazia» da oltre vent’anni da noi ha assunto il nome ipocrita di (semi)presidenzialismo, il virus della nostra debole democrazia costituzionale. E l’apripista è stato Berlusconi, presidente di tutto: di Mediaset, del Milan, di Forza Italia, della Casa delle Libertà, del PdL, forse anche del bocciodromo di Arcore, per 4 volte Primo ministro in governi di Centro-destra. Per i suoi devoti è ancora e sempre il Presidente Berlusconi, sempre sia lodato! Il fatto è che la sua manìa di tycoon autocrate, trasposta dal privato al pubblico, ha fatto sfregio della Costituzione, mettendo in discussione il principio della separazione dei poteri e lo statuto dei diritti costituzionali. Ecco un breve promemoria delle sue malefatte.
1) Per sottrarsi ai processi, ha screditato la Magistratura, definendo i magistrati «doppiamente matti», «mentalmente disturbati», con «turbe psichiche», «antropologicamente diversi dal resto della razza umana», e tentato di colpirne l’autonomia col disegno, per fortuna fallito, di imporre la sottomissione dei Pm al Governo. 2) Ha quasi ridotto il potere legislativo a quello esecutivo, cioè il Parlamento al Governo, e il Governo al premier, cioè al suo Ego: incancellabile la vergogna d’una maggioranza che approva decine di leggi ad personam, economiche, fiscali e giudiziarie, e che non si rifiuta nemmeno di legiferare su Ruby Rubacuori nipote di Mubarak, suggerendo quasi di parlamentizzare il bunga bunga. 3) Ha colpito i diritti di libertà d’opinione, manifestazione e autodeterminazione: non solo l’«editto bulgaro» con cui caccia dalla Tv di Stato Santoro, Biagi e Luttazzi, ma la «macelleria messicana» del G8 di Genova contro i giovani «no global», orrenda anagrafe del Berlusconi II; per non dire della barbarie oscurantista con cui fu trattato il caso Eluana Englaro. 4) Ha posto in atto una politica economica apertamente padronale e confindustriale, utilizzando il passaggio monetario dalla lira all’euro come un’occasione di lento inesorabile impoverimento delle masse lavoratrici. 5) Ha ridotto, degradandola, la politica estera italiana al «lettone di Putin», al «bacio di Gheddafi», poi mollato alle brame imperiali di Sarkozy e degli Usa, alla «Merkel culona» e a quant’altro di sgradevole barzellettistica.
Costretto dalla Troika (Ue, Fmi, Bce) alle dimissioni nel 2011, dopo aver portato l’Italia sull’orlo della bancarotta, oberato di processi, condannato come «delinquente comune» per frode fiscale, espulso dal Parlamento, richiesto per nemesi storica di «perizia psichiatrica» dal Tribunale di Milano, oggi osa autocandidarsi al Quirinale. Solo in un Parlamento di nominati, corrotti e poltronisti l’Egolatria autocratica del Caimano potrebbe trovare ancora spazio. Della Troika, di cui è parte la Bce, Draghi allora era il vicepresidente. Alla Bce era arrivato su proposta di Berlusconi. E dalla Bce silura il Berlusconi IV. Vite parallele. In attesa di un novello Plutarco.
Draghi Superstar è tutt’altra cosa. Pupillo della bancocrazia italo-euro-statunitense, passato dal Collegio dei gesuiti, alla Laurea in economia, alla Banca d’Italia, al Governo Ciampi, alla Goldman Sachs Bank, alla Bce e, infine, dopo il «Conticidio», catapultato da Mattarella a Palazzo Chigi.
Resta che qui o lì, Draghi Superpresidente è a oggi il miglior garante dei mercati e dell’«ordo-liberismo» euro-atlantico.
Certo, nessuno in questo momento può sciogliere il rebus delle quirinalizie, nemmeno i due ambiziosi autocandidati. Molte restano le ipotesi «compossibili» in campo. In politica mai dire mai: forse nemmeno Mattarella nel suo segreto esclude un Mattarella bis pro tempore. Ma chiunque dopo il 24 gennaio s’insedi al Colle, il «Grand’Hotel Abisso» rimane lì, più minaccioso che mai. ◘
Redazione