Economia regionale. Dati statistici parlano di una ripresa dell'economia regionale. Il Centro-destra si esalta dicendo: è merito nostro. Ma la realtà è un'altra.
A dicembre, gli istituti di statistica hanno reso note alcune previsioni riguardo l’andamento economico della nostra Regione, segnalando, in particolare, una presunta crescita del Pil locale intorno al 6%. Una performance che collocherebbe l’Umbria tra le prime a livello nazionale, con un dato migliore della media.
Il capogruppo della Lega in Consiglio regionale ha evidenziato con grande enfasi come questi eccellenti risultati certificassero “il fallimento del Centro-sinistra – al governo da sempre nella nostra Regione” – e l’ottimo lavoro della giunta Tesei, evidentemente artefice del buon risultato e del cambio di corso.
Questa affermazione, in realtà, è solo propagandistica e denota sia la superficialità che l’incompetenza dei nuovi amministratori. Qualche tifoso del Centro-destra o distratti cittadini potrebbero anche prendere per buona questa lettura. Ma è da troppo poco tempo che il Centro-destra governa per dare dei giudizi cosi netti, come bocciare il passato e promuovere a pieni voti il breve presente. Le cose non sono mai così semplici, e in particolare in Umbria.
Le performance positive in cui ogni tanto incappa la Regione sono come “i rimbalzi del gatto morto”, i sussulti di un corpo cadavere ormai da anni, che dopo aver perso tutti i treni, difficilmente riuscirà a prendere l’aereo. Tutto ciò perché, al saldo dei “sussulti” rapidamente riassorbiti dalla situazione reale, lo stato delle cose per la Regione è pessimo: lo era nella crisi economica dal 2008 e lo sarà ancora di più con l’aggravamento prodotto dalla pandemia.
L’Umbria, scivolata stabilmente tra le Regioni del sud, non ha prodotto alcun cambiamento significativo o strutturale tale da poter essere considerata una Regione in ripresa, anzi, a ben vedere, occupazione, salari, reddito individuale, demografia, declino del benessere dei due capoluoghi di provincia non fanno che certificare una situazione preoccupante.
Ciò che giustifica la superficialità di tali analisi è l’emergenza pandemica, di natura non solo sanitaria. In fase di emergenza, il giudizio è sospeso e tutto può essere giustificato dallo stato d’eccezione. Solo quando esso sarà terminato potremo capire esattamente dove siamo collocati e provare a dare qualche giudizio sull’operato degli amministratori; solo allora avremo la possibilità di capire come siamo veramente messi.
Proviamo a fare qualche ipotesi, semplice e accettabile. Se eravamo stati sopravanzati dall’Abruzzo, prima Regione del sud, e avevamo una produttività bloccata dalla metà degli anni novanta, ulteriormente aggravata dai tagli lineari e dalla riduzione dei trasferimenti nazionali, il tema della creazione della ricchezza e della sua redistribuzione dovrebbe essere quello centrale.
Una Regione di fatto più povera, che non crea ricchezza da decenni e non può più contare sui trasferimenti nazionali è evidentemente in difficoltà, e dovrebbe mettere in campo una strategia economica alternativa, un nuovo modello di sviluppo capace di sostituire il vecchio “socialismo appenninico”, evidentemente superato.
Questa acquisizione di consapevolezza, e lo sforzo innovativo che dovrebbe fare l’Umbria, purtroppo non si intravede né a Sinistra né a Destra e tantomeno nel nuovo corso politico amministrativo.
L’unica cosa nota del nuovo corso è la sostituzione dei dirigenti in tutti i settori e gli ambiti di interesse pubblico, un’operazione volta a guadagnare consenso politico, di fedeltà e di privilegio, evidentemente elitaria e verticista, che non ha nulla a che vedere con l’interesse generale, né con un progetto innovativo.
Il nodo del modello economico non è stato posto al centro dell’agenda politica e non potrebbe essere altrimenti, perché in Umbria non vi sono le condizioni e nemmeno una classe dirigente all’altezza, e questo vale per l’intero arco costituzionale. Inoltre non ci si è mai sforzati di capire dove l’Umbria sia oggettivamente collocata, che sarebbe la base di ogni ragionamento serio.
L’Umbria risponde perfettamente a quelle realtà finite “nella trappola dello sviluppo intermedio”, è uno dei tanti territori che ha avuto un buon sviluppo per molti decenni, ma che non ha né compreso né colto il cambiamento, il passaggio all’internazionalizzazione dell’economia e la svolta tecnologica. Una condizione, questa, molto diffusa sia in Europa che in Italia, con il Meridione che vi è letteralmente sprofondato.
Molti sono i territori in simile condizione, da cui discendono anche lo spopolamento e l’abbandono, l’avere ostinatamente difeso vecchie posizioni e avere rinunciato alla sfida dell’innovazione e dell’internazionalizzazione; tutto ciò alla fine ha determinato il declino.
Umbria, Marche, Liguria, Piemonte e moltissimi territori e aree interne montane sono finiti nella “trappola dello sviluppo intermedio”. Una condizione di cui in Umbria ancora non si ha esatta consapevolezza, mentre ci si esalta e si straparla di un presunto “rimbalzo” del Pil in tempi di emergenza pandemica.
Stante la situazione descritta, i ritardi nel comprenderla e l’incapacità di affrontarla, anche il Pnrr o i fondi strutturali europei non saranno sufficienti a risollevarne le sorti. Ciò che servirebbe non è minimamente percepito, il dibattito si riduce a una Sinistra che tenta di riorganizzarsi per riproporre più o meno vecchi riti e ricette e una Destra improvvisata e inadeguata, concentrata prevalentemente sulla sostituzione del potere e sul consenso.
Lo spazio politico tra le due posizioni sarebbe enorme e la gente anche disponibile ad andare oltre, ma servirebbe un pensiero nuovo, altro, e di questo non c’è ancora traccia. ◘
di Uderico Sbarra