DOSSIER. Nucleare? No grazie!
Sull’Allegretto del Rigoletto, Cingolani, novello Duca della Transizione ecologica, sembra stia conducendo da mesi una campagna di confusione di massa in cui “nucleare di IV generazione”, “fusione nucleare”, “nuovo nucleare verde” sono corteggiati, e proposti, di volta in volta con uguale disinformata passione. Dobbiamo però ricrederci e dire subito che non è solo un’esibizione di impudica incompetenza, ma è un “far caciara” sincrono con la passione che per il nostro Duca è madre delle altre: quella per l’Eni. Il nucleare, decisamente improbabile per il nostro Paese, e la fusione sono agitati come alibi gattopardeschi perché l’Ente degli idrocarburi non corregga di una virgola i suoi vergognosi obiettivi: 25% di riduzione al 2030 delle emissioni di gas a effetto serra e 15 Gw di rinnovabili, mentre le sue concorrenti, Total e Bp, hanno fissato, rispettivamente, 100 Gw e 50 Gw. Qui da noi, basti qualche spot in Tv, ammiccante al ruolo indispensabile delle nuove generazioni.
Grandi o piccoli la fisica del reattore è sempre la stessa e anche rischi e scorie
Grande o mini, il nucleare è vecchio come il cucco e sempre rischioso. E irrilevante rispetto all’obiettivo climatico del 2030. Che si parli di terza generazione “avanzata”, la “III+”, o di IV generazione o di “Small Modular Reactor” (Smr), la tecnologia di base è sempre la stessa, con alcuni miglioramenti puramente ingegneristici, che abbiamo già descritto per i reattori “III+” o “IV” nel nostro libro Nucleare a chi conviene (2010) e che tali sono rimasti.
Anche gli “Smr” lo sono, ancorché vengano propalati come “piccoli e sicuri”. Piccoli certamente, dalle poche decine di Mw fino al centinaio; di “sicuro” hanno solo il minor inventario radioattivo e il minor volume di scorie rispetto a un reattore di potenza, ma se poi ne localizzo in un’area quanti ne servono per i 1000 Mw, ritorniamo da capo a uno. E il panorama di una loro eventuale disseminazione su vasta scala configura la distopia di un mondo radioattivo popolato da mutanti. Nonostante l’altro elemento di richiamo, nella lista degli oltre 50 “Smr” progettati in tutto il mondo, solo quattro risultano in costruzione e altri quattro in esercizio: tre in Russia, come quello di Chernobyl, un gruppo in Cina, di 210 Mw. Quest’ultima realizzazione, dichiarata pronta alla connessione alla rete, sarebbe uno scoop, si fa per dire, per la IV generazione.
Parliamone, allora. A Shidaowan (Shandong), due mini-reattori Htgr (High Temperature Gas-Cooled Reactor) da 100 Mw sono accoppiati a una stessa turbina da 210 Mw. Sarebbe, seppure in scala così ridotta, un Vhtr, cioè uno dei sei tipi di reattori proposti da vent’anni e passa dal Generation IV International Forum (Gif), anche se non raggiunge i 1000°C previsti. Ce ne ha messo di tempo, poiché sia negli Usa che in Germania e in Giappone i prototipi sperimentali sono partiti negli anni ’60. E per quello cinese, i lavori sono iniziati nel 2012! Quanto ai problemi dello smaltimento della grafite, “moderatore” della velocità dei neutroni dello Htgr, basta guardare alla centrale di Borgo Sabotino (LT). Una delle prime tre in Italia, 200 Mw, spenta dal 1987. Sui duemila metri cubi di grafite del reattore la Sogin tace, proprio mentre è in corso in tutta Italia la consultazione delle parti interessate, primo passo della disattivazione.
Le esigenze militari per la propulsione atomica di navi e sottomarini
La realizzazione cinese dovrebbe far sgonfiare il petto del Duca, che con orgoglio rivendicava un’impronta italiana sulla IV generazione. “Fermi energia”, la società italiana che ha concluso con l’Estonia un contratto per un “Smr” in esercizio non prima del 2030, vanta una IV generazione per lo stesso modello prevista per il 2035. Quindici anni dopo quello cinese. In realtà, l’enfasi internazionale sugli “Smr” nasconde, neanche troppo bene, le esigenze militari per la propulsione atomica di navi e sottomarini, alla base di accordi tra Usa e Uk e tranquillamente sbandierati dalla Rolls Royce (Chaffee, P., 2020, Rolls Royce Pushes for Major Smr Commitment Nucl. Intell. Wkly. 14). A conferma — ce ne fosse stato il bisogno — dell’inscindibile legame tra nucleare civile e militare.
Riassumendo, i progetti Generation IV da vent’anni non hanno trovato finanziamenti, né pubblici, con eccezione di Cina e Russia, né tantomeno privati, di dimensioni tali da consentire il loro decollo come generazione in grado di superare tecnologicamente la “III+”, che si è peraltro mostrata fallimentare. Nonostante in alcuni progetti esistano aspetti interessanti, nessuno di essi assume un ripensamento a fondo della Fisica del reattore come base per una vera innovazione impiantistica.
Il nucleare è più vecchio dei transistor
La critica di fondo sull’obsolescenza dei progetti di reattore, come prezzo da pagare perché la Fisica si è disinteressata dell’energia nucleare da quando è diventata realizzazione di impianti, fu ripresa da Rubbia: «Il nucleare classico, compreso quello di quarta generazione, non può aspirare a una diffusione su larga scala» (“la Repubblica”, 30 maggio 2007). Un altro radical chic, stando all’ “allegretto” del Duca. E un altro Nobel, Giorgio Parisi, si era divertito a ricordare, nell’assumere qualche anno fa la presidenza della Commissione scientifica sulla disattivazione, che «il nucleare è più vecchio dei transistor».
Ma da qui al 2030? La Cina resta il solo operatore su Ap-1000, come anche l’unico Paese in cui sono entrati in esercizio, oltre all’Ap-1000, i due reattori di Areva (l’industria nucleare di Stato della Francia). A dimostrazione dell’antica convinzione che il nucleare si coniuga con finanziamento pubblico e regime autoritario.
Il reattore Areva in Finlandia
Intanto, la quota di produzione elettronucleare mondiale è vistosamente calata dal 17% al 10%; un calo che non verrà recuperato al 2030, anche se venissero attaccati alla rete i 55 Gw che World Nuclear News profetizza come pronti nei sette anni dal 2021 al 2027. Per contro, al ritmo attuale di oltre 90 Gw all’anno di solare fotovoltaico, di 50 Gw di eolico inshore e offshore e di 10 Gw da biomasse, le fonti rinnovabili produrranno al 2027 il quadruplo di quel che verrebbe dagli ipotetici 55 Gw nucleari.
Il fallimento, a Flamanville come a Olkiluoto, di Areva, spinge la Francia all’arrembaggio dei finanziamenti del Recovery fund Ue, con la richiesta dell’inserimento del nucleare nella “tassonomia verde”. Questa sarà la battaglia dei prossimi mesi, dove la sagacia di Macron ha unito al nucleare analoga richiesta per il gas.
Mettiamo ora i puntini anche sulla fusione, poeticamente evocata dal Duca come l’energia delle stelle. E con un do di petto, in un’intervista rilasciata, guarda un po’, all’Eni: «Ad esempio, la fusione nucleare è stata abbandonata … anche perché la fissione, cioè il passaggio intermedio, ha evocato grandi paure, per cui, come popolazioni ‘avanzate’, non ce la siamo sentita di andare avanti come avremmo potuto». Di nuovo l’ “allegretto”, dove spaccare gli atomi più pesanti, in fondo alla tabella di Mendeleev, è «un passaggio intermedio» per fondere i leggerissimi isotopi dell’Idrogeno, i primi di quella tabella. "Aridatece la Gelmini dei neutrini del Gran Sasso!" — che, almeno, non poteva vantare neanche una laurea in Fisica. E poi, un tecnologo che ignora l’esistenza del “pentolone” di Cadarache? In mano a chi, la transizione ecologica! ◘
di Massimo Scalia