DOSSIER. Nucleare? No grazie!
Cosa pensa dell’atteggiamento della Francia e di altri 10 Paesi europei di equiparare l’energia nucleare a quelle rinnovabili? A quale disegno politico corrisponde?
«L’industria nucleare è in profonda crisi e la tecnologia francese dell’Epr (Evolutionary pressurized Reactor) ne è l’esempio più lampante. L’unico reattore in costruzione in Francia a Flamanville ha un ritardo di oltre 12 anni e il suo costo totale, come calcolato dalla Corte dei Conti francese, sarà di oltre 19 miliardi di euro (rispetto a una previsione di 3,3 senza gli oneri finanziari). L’azienda proprietaria della tecnologia, Areva, che era impegnata nel cantiere dell’Epr finlandese a Olkiluoto (anche questo in forte ritardo e con costi circa quadrupli rispetto alle previsioni), è fallita. Anche per questa ragione la Francia vuole estendere la vita dei suoi reattori oltre i 40 anni di progetto: 16 di questi sono a meno di 200 km dal confine italiano e il Governo francese non ritiene di dover coinvolgere il nostro Paese nella procedura autorizzativa, come sarebbe previsto dalle convenzioni europee.
Non è andata meglio negli Usa dove dal “rinascimento nucleare” lanciato da George W. Bush nel 2001 nessun nuovo reattore è stato completato. Dei quattro in costruzione due sono stati cancellati e gli altri due viaggiano a costi più che triplicati, mentre l’azienda proprietaria della tecnologia, la nippo-americana Toshiba-Westinghouse, è fallita nel 2017.
La spinta a equiparare il nucleare alle rinnovabili è legata alla ricerca di fondi privati per far sopravvivere un settore in profonda crisi. Peraltro, l’incidente dello scorso giugno a uno dei due Epr a Taishan in Cina, gli unici al momento in funzione, che ha portato al fermo dell’impianto a luglio (su richiesta della francese Framatome, subentrata ad Areva), getta persino qualche sospetto sulla qualità progettuale del reattore.
L'Agenzia per la sicurezza nucleare francese (Asn) ha rilevato anomalie sulla distribuzione di potenza nel nocciolo del reattore: se tali anomalie fossero confermate, oltre al fallimento economico si dovrebbe forse parlare anche di fallimento tecnologico di questa versione dell’Epr».
Oggi è possibile ritornare al nucleare, magari utilizzando piccoli reattori? È una soluzione possibile?
«I piccoli reattori modulari – Small modular reactors, Smr – che si propongono sono basati sulle stesse tecnologie dei reattori convenzionali e dunque coi medesimi rischi e aspetti critici (necessità di ritrattamento delle scorie e rischi di proliferazione nucleare). Tutta la storia della tecnologia nucleare è stata di sviluppare reattori con taglie più grandi per ridurre i costi con l’economia di scala, ma questo tentativo è fallito. Che lo si possa raggiungere riducendo la taglia dei reattori è tutto da dimostrare. La spinta verso gli Smr è piuttosto legata al settore della propulsione navale militare (sommergibili, portaerei) – tra le aziende impegnate è proprio la Rolls Royce, che produce anche propulsori navali –, ma che possa avere applicazioni civili significative è tutto da dimostrare.
Di recente il responsabile nucleare del colosso tedesco Rwe, Nikolaus Valerius, ha dichiarato che “il nucleare è un business morto, la Germania non tornerà indietro”, facendo eco a una dichiarazione simile della ex premier Angela Merkel. Dichiarazioni analoghe sono state fatte di recente anche da Francesco Starace, Ad di Enel».
Quali sono le fonti alternative al disastro dei combustibili fossili che producono CO2 e delle emissioni di metano che viene disperso nell’atmosfera?
«Le fonti rinnovabili (solare ed eolico su tutte) e l’efficienza energetica hanno un potenziale sufficiente a combattere la crisi climatica. Le nuove tecnologie di stoccaggio dell’elettricità – sia quelle sviluppate per le auto che diverse altre – vanno facendo passi avanti sia in termini di costi che di efficienza. Lo sviluppo dell’eolico galleggiante a mare è estremamente promettente, e avrebbe un potenziale energetico enorme in certe aree del mondo, e interessante anche da noi. Il solare fotovoltaico ha il maggior potenziale, e il Fraunhofer Institut tedesco ha valutato che usando l’agrivoltaico – impianti costruiti in aree agricole in modo tale da poter coltivare sotto di essi – sarebbe possibile coprire i consumi tedeschi usando il 4 per cento delle aree agricole della Germania. Un potenziale non troppo diverso sarebbe possibile anche in Italia, dove peraltro abbiamo più sole».
Lei ritiene che verniciare il nucleare di verde sia pura propaganda e sia contrario agli impegni di Parigi sul clima?
«Il nucleare viola il principio do no significant harm (Dnsh) che è tra quelli alla base del concetto di sostenibilità: anche se gli incidenti gravi sono rari – ma molto meno di quanto si dichiarava – questi hanno conseguenze a lungo termine. Il Gruppo tecnico di esperti (Technical expert group) che ha analizzato il principio Dnsh sul nucleare da fissione, ha espresso parere negativo all’inclusione del nucleare in Tassonomia: si tratta di una partita puramente politica».
I costi e i tempi del nucleare civile sono incompatibili con i tempi della transizione ecologica entro il 2030. Lei sospetta che il nucleare civile serva solo a impedire che i finanziamenti europei per le rinnovabili finiscano per sostenere le strategie militari della Francia?
«Il nucleare civile serve a sostenere quello militare, le rinnovabili non c’entrano nulla. Il Presidente Macron nel dicembre 2020 aveva dichiarato in modo inequivocabile che "Sans nucléaire civil, pas de nucléaire militaire, sans nucléaire militaire, pas de nucléaire civil" ("Le Monde", 21 dicembre 2020) ed è proprio questa la vera ragione della spinta a sostenere una tecnologia che, dopo 70 anni di sviluppo, non ha ancora risolto temi fondamentali come la gestione a lungo termine delle scorie o i problemi di proliferazione nucleare (come vediamo nel caso iraniano)».
Questa relazione tra nucleare civile e militare è peraltro emersa anche nel caso inglese. Le analisi dei ricercatori Andy Stirling e Philip Johnstone dell’Università del Sussex già dal 2015 avevano evidenziato come la spinta pro-nucleare in Uk sia collegata al settore militare e in particolare alla necessità di rimodernare le flotte dei sommergibili a propulsione atomica. Per coprire l’aspetto nucleare militare è infatti necessaria la presenza di un presidio industriale e tecnologico che dia una capacità di approvvigionamento autonoma: forse anche per questa ragione di recente il Governo Uk ha chiesto alla francese Edf, impegnata nella costruzione di due Epr a Hinkley Point, di estromettere dal consorzio i cinesi della Cng (che vi partecipano al 33,5%). Il mantenere l’industria civile serve anche a scaricare almeno parte dei costi sulle bollette per decine di miliardi di sterline, secondo le analisi di Stirling e Johnstone». ◘
di Achille Rossi