Editoriale. Baby gang imperversano in Altotevere e in tutta la Regione.
“Scontri, pistole e soldi: i video di una baby gang sui social. Paura e incredulità in Altotevere”; “Furti, rapine e botte, sgominata la gang che terrorizzava i ragazzini in corso Vannucci o nei centri commerciali”; “Furti a raffica tra Foligno e Bastia Umbra, sgominata dalla Polizia una baby gang”, e l’elenco dei titoli potrebbe continuare. Quando ci si accorge di fenomeni come questi, significa che la mandria è già uscita dalla stalla e ora bisogna rincorrerla. Ma i segnali erano stati ampiamente descritti da tempo: in Umbria sono stati confiscati 114 beni alla Mafia in 14 Comuni compreso Città di Castello: in maggioranza appartamenti, edifici e terreni; l’Umbria è considerata un “paradiso" per il traffico di droga; il Pil regionale è crollato di oltre il 15%; la povertà, raddoppiata, colpisce circa 120 mila umbri; la popolazione regionale ha subito una contrazione di circa 20mila unità; circa 2.000 giovani sono emigrati negli ultimi due anni di Covid. Si tratta di indicatori che spiegano in modo macroscopico il lento e inesorabile deterioramento della realtà sociale regionale, che ci sta meridionalizzando come è stato più volte denunciato. In questa fascia grigia, che si fa sempre più ampia, si trovano quei giovani che hanno dato vita negli ultimi mesi al fenomeno delle baby gang. Ad esserne colpite sono molte cittadine umbre: Foligno, Bastia, Perugia, Umbertide, Castello. Anche i furti sono in aumento, soprattutto in Altotevere, ed è molto probabile che i due fenomeni si sovrappongano. L’Umbria dei piccoli centri, invidiati in tutto il mondo, sta diventando una grande periferia diffusa, dove i fenomeni di bullismo, di violenza che attecchiscono nei giovani, si replicano in modo analogo a quanto avviene nelle grandi periferie urbane.
Una omologazione inaspettata e imprevedibile viaggia sui social, dove tutto è centro e periferia. Modelli uguali che si ripetono ovunque e si manifestano nelle stesse forme, perché trovano un terreno dissodato da tempo.
Quando si arriva ai livelli degli scontri registrati a Umbertide e Città di Castello, tutti devono chiedersi qualcosa: le istituzioni dove sono? La Chiesa dove è? I partiti cosa fanno? La scuola cosa ha osservato? Le famiglie cosa dicono? Il cortocircuito quando scatta colpisce tutti. E così è stato.
L’anteprima era andata in onda durante la fase estiva a Città di Castello, con continue scorribande notturne di gruppi di giovani che si affrontavano nelle piazze principali della città e che hanno indotto diversi cittadini a costituirsi in Comitato per denunciare gli schiamazzi e il pericolo rappresentato dal fenomeno. Si pensava che l'arrivo della stagione invernale avrebbe fatto scemare i bollori estivi, invece, come si è visto, sono cresciuti fino a diffondersi in altri centri, portando e importando violenza tra bande rivaleggianti. Ma su cosa rivaleggiano questi giovani? Cosa si contendono?
Le forze dell’ordine stanno indagando perché i “bulli”, che si raccontano sul web, mostrano mazzette di soldi e pistole, scene inimmaginabili da parte di minorenni, in maggioranza, e ragazze poco più che bambine. Che cosa passa nella testa di un adolescente per arrivare a tanto? Quali argini si sono rotti dentro le loro vite per poter esibire sfrontatamente comportamenti abnormi, i cui effetti sono al di fuori della loro possibilità di padroneggiarli? Quali condizionamenti sociali li hanno spinti “sulla strada”? Quanto hanno influito i videogames sui quali sono cresciuti, come se si trattasse di un divertimento innocuo? Quanta violenza virtuale hanno introiettato dalla rete e dalle nuove tecnologie perennemente attive, prima che diventasse realtà? Di quanta affettività sono privi per arrivare a considerare comportamenti che mettono a rischio l’incolumità di un altro essere umano un fatto “normale”? Quando arriva il momento in cui la linea di demarcazione tra lecito e illecito viene superata senza che alcuno se ne accorga? Questi mostri costruiti a “tavolino”, tra il sofà del salotto davanti alla tv o al computer, o nella cameretta-rifugio, allevati tra playstation e social, come si possono disinnescare? Quanta solitudine piena di giochi e priva di emotività hanno dovuto sopportare prima che si trasformasse in violenza?
Le istituzioni dovrebbero avere il coraggio di aprire un vasto dibattito su questo tema senza lasciare il pallino alla sola repressione, ovvero alle forze dell’ordine. Lorenzo che muore l’ultimo giorno della sua esperienza di scuola-lavoro schiacciato da un blocco di acciaio, gli studenti bastonati perché protestano per solidarietà col loro coetaneo, o le due ragazzine che picchiano il bambino ebreo decendogli "Ebreo, muori nel forno", sono gli indicatori di un ordine culturale che ha smarrito i valori fondamentali dai quali si apprende “l’arte di coltivare la vita”. Soldi, carriera e successo diventano idoli quando rimangono inevasi la ricerca di senso e gli scopi per cui vivere. Gli adulti non sanno più trasmetterli perché loro stessi ne sono privi. Così la violenza dilaga dando un senso a ciò che senso non ha. ◘
Redazione Altrapagina.it