Perugia. I LUOGHI SIMBOLO DELLA CITTÀ.
La “Associazione Polisportiva Monteluce”, oltre a svolgere da decenni un grande e volontaristico servizio per i giovani di Monteluce e tutta l’area Nord di Perugia, custodisce un archivio fotografico che racconta la storia del quartiere, compresa quella che una volta era il “campo del Biondo”, e poi ha avuto vari nomi popolari: “Campo di terra”, “Campo rosso”, da uno spazio in cemento rosso, e “Campo del prete”, perché fu grazie a un’intuizione, anzi ad una visione del parroco don Luciano Tinarelli che quel podere divenne della “comunità parrocchiale di Monteluce” come si diceva allora.
Fu proprio un visionario don Luciano a creare un parco parrocchiale in un terreno scosceso (uno “scatafosso” scavato dal fosso del Favarone che arrivava al Tevere) e a far diventare la sua visione quella di un intero quartiere, coinvolgendo in essa tantissime famiglie di Monteluce, che presero l’impegno di versare quanto potevano alla parrocchia per consentirle di acquistarlo.
Di fatto la visione di don Luciano divenne partecipazione e la partecipazione un parco, che prese la sua forma quando, grazie ai lavori per i nuovi padiglioni dell’ospedale, fu utilizzato per scaricarvi la terra degli scavi, che consentì di trasformare lo “scatafosso” in gradoni.
Nel frattempo la casa colonica divenne l’oratorio con accanto una palestra, lì vicino nacque un albergo, un viceparroco piantò aiutato da giovani parrocchiani una marea di alberi sempreverdi, la parrocchia stipulò un accordo con un privato per la nascita del Tennis Club Monteluce: 7/8 campi da tennis gestiti privatamente, frequentati non solo dagli abitanti del quartiere ma da quelli di un’area ben più vasta.
E il “campo del prete” divenne spazio pubblico per i giochi di bambine e bambini, ragazze e ragazzi, luogo dello sport, degli ospiti dell’albergo che vi passeggiavano, più in fondo il posto dove lasciare liberi i cani.
Un polmone d’ossigeno e di vita in comune a ridosso del centro storico di Perugia, a disposizione di tutti i suoi abitanti. Questo era.
Poi è subentrato un contenzioso tra parrocchia e gestione del Tennis, tensione che, invece di stemperarsi, si è trasformata in una rabbia senza fine, conclusasi con una ruspa che distrusse i campi da tennis. Con il risultato che, non essendoci nessun “piano B” per l’area, le sterpaglie incominciarono a riprendersi quello che era stato loro tolto.
Mentre avveniva questo, il giardino pubblico tra Monteluce e Porta Pesa, “il Piazzale”, come lo chiamavano gli abitanti, per consentire alle insegnanti di entrare al Ciabatti-Montessori con l’auto, rimaneva con la sbarra alzata. Parcheggia abusivamente oggi, parcheggia domani, parcheggia per anni, il giardino pubblico svanì e dopo anni di sosta selvaggia il cartello dell’area pedonale fu tolto, sostituito da quello di parcheggio pubblico.
È da queste due perdite che è iniziato il degrado di un quartiere. Perdite alle quali seguirono quella dell’ospedale e il fallimento del progetto della Nuova Monteluce che doveva sostituirlo.
E se si vuol pensare a una nuova nascita per un quartiere che non è, come dicono, estensione del centro storico ma una sua parte integrante – con i suoi eremiti, flagellanti e conventi era la “Tebaide” del Comune – bisogna sgombrare il campo da rabbie, rivalse, risentimenti, accuse reciproche, giochi politici, incontri che (come le commissioni) si convocano per non far nulla fingendo di voler fare qualcosa. Sostituendoli con un pensiero caldo, affettuoso e grato verso coloro che vollero fosse di tutte e di tutti quel podere scosceso. Una nuova visione che, nascendo dal “campo del prete”, si allarghi a tutta la città vecchia di Perugia, tenendo conto degli obblighi verso le giovani e le future generazioni, nel tempo di transizione ecologica dovuta al riscaldamento globale che ci è dato da vivere anche a Perugia. ◘
di Vanni Capoccia