Lunedì, 11 Novembre 2024

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Una chiesa di tutti

Intervista a ANTONIO SCIORTINO, giornalista, scrittore.

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A don Antonio Sciortino, già direttore di "Famiglia Cristiana" e attualmente di "Vita Pastorale", proponiamo alcune domande sul percorso sinodale della Chiesa cattolica.

Papa Francesco sta prospettando una nuova visione della Chiesa, per questo chiama a raccolta i cattolici di tutto il mondo. La Chiesa si sente in pericolo ed eventualmente da che cosa?

«Degli ultimi pontefici, Francesco è l’unico che non ha preso parte al Vaticano II, né come teologo né come vescovo. Ma è il Papa che, a più di cinquant’anni da quell’evento, lo sta rilanciando nelle sue idee più innovative, purtroppo negli anni congelate e mai attuate. Si dice che Francesco sia un Papa “rivoluzionario” e che stia “sconvolgendo” la Chiesa. Ma va ricordato che non c’è nulla nel suo magistero che non sia già presente nel Concilio. Come, ad esempio, una Chiesa povera e per poveri, che si spoglia di tutto ciò che non è essenziale per l’evangelizzazione; o una “Chiesa in uscita”, cioè aperta al mondo e in dialogo con tutti, credenti e non credenti. E, soprattutto, l’immagine del “popolo di Dio”, che vuol dire una Chiesa “circolare” e non più di vertice, dove i fedeli battezzati hanno tutti la stessa dignità, vocazione e missione. L’idea del Sinodo va proprio in questa direzione: tutti siamo protagonisti della vita e del rinnovamento della Chiesa. Perché, come ha detto Francesco: “Il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio”».

Quali sono i malesseri del corpo ecclesiale che affliggono la Chiesa contemporanea? Potrebbe esplicitarli? Il Sinodo è un’occasione di trasformazione e di conversione?

«Francesco, più volte, ha messo in guardia dal clericalismo, definendolo una “perversa tentazione”, per la quale Dio parla solo ad alcuni nella Chiesa, mentre gli altri devono solo ascoltare ed eseguire. Non basta parlare di sinodalità o evocarla di continuo, se poi non si attua nei fatti, a ogni livello della Chiesa. Dev’essere lo stile con cui agisce ogni comunità ecclesiale. I malesseri di cui è afflitta oggi la Chiesa sono davvero tanti. E sarebbe lungo farne l’elenco. Basterebbe leggere un recente libro di Andrea Riccardi, La Chiesa brucia? Crisi e futuro del cristianesimo, per rendersene conto. Si va dagli scandali della pedofilia del clero al calo della pratica religiosa dei fedeli in Italia e in Europa, con le chiese sempre più spopolate, alla crisi delle vocazioni, a un clero sempre più anziano... A preoccupare, soprattutto, è la scarsa vitalità del mondo cattolico (qualcuno parla di “crisi terminale”), che rende il cristianesimo sempre più irrilevante nel mondo moderno. Ma la crisi può trasformarsi in una opportunità. Il Sinodo, in questo senso, può rappresentare un momento favorevole di innovazione e di rilancio della Chiesa. E il coinvolgimento di tutte le Chiese particolari del mondo potrà dare alla Chiesa una “nuova primavera dello Spirito”, come fu per il Vaticano II a suo tempo».

Siamo ancora dipendenti da una visione verticistica della Chiesa? Abbiamo bisogno di ridare parola a quelle categorie che ne sono state escluse, come i giovani, le donne, i poveri? Una rivoluzione copernicana?

«Il Vaticano II ha rivalutato la vocazione dei laici, che non sono un surrogato del clero, ma hanno una propria dignità. Anche se, per la scarsità di preti, tuttora li si usa come dei “tappabuchi”. La rivoluzione copernicana del Concilio è consistita nel ribaltare la concezione della Chiesa piramidale (con in cima il clero e i fedeli in basso), riconoscendo pari uguaglianza a tutti i fedeli battezzati, pur nelle diversità di funzioni e ministero. Non è più il popolo al servizio del clero, ma è il clero che si mette al servizio dei fedeli. Ciò nonostante, ancora oggi, i laici non hanno nella Chiesa il pieno riconoscimento che spetta loro. Sono cristiani di serie B, subordinati al clero; “portatori d’acqua”, non protagonisti. Siamo ancora lontani dal loro pieno coinvolgimento e corresponsabilità nella Chiesa. Quanto ai giovani, come dice il teologo don Armando Matteo nel suo libro La prima generazione incredula, questi sono la porzione di Chiesa che è venuta a mancare. I giovani non si pongono più il problema di Dio; non fa parte delle loro scelte esistenziali. Non sono atei, ma indifferenti: che è peggio. Più che parlare tanto di loro, bisognerebbe ascoltarli e coinvolgerli maggiormente. Non sono il futuro della Chiesa, ma il presente che, purtroppo, noi adulti continuiamo a sottrargli. Lo stesso vale per le donne, un tempo lo “zoccolo duro” della Chiesa, numerose come catechiste. Oggi, anche le quarantenni hanno cominciato a disertare la Chiesa. Fenomeno aggravato da una “misoginia clericale”, che fatica a coinvolgerle in ruoli decisionali al pari degli uomini. Infine, quanto ai poveri, solo grazie a papa Francesco essi hanno conquistato una centralità evangelica nella Chiesa, come “sacramento” e segno della presenza di Cristo. E non più come utenti o clienti delle istituzioni ecclesiali. Papa Francesco ha voluto una Giornata mondiale per i poveri, per farci comprendere che essi sono il vero “tesoro della Chiesa”, i “preferiti di Dio”, coloro che ci “facilitano l’accesso al Cielo”. Sono nostri maestri, dai quali abbiamo da imparare».

La secolarizzazione ha profondamente cambiato le società occidentali. C’è ancora posto per una esperienza religiosa nel contesto attuale segnato dalla multiculturalità?

«Oggi viviamo in una società post cristiana e multiculturale. Come cristiani siamo diventati minoranza. La nostalgia del passato, quando tutta la società era impregnata di cristianesimo, ha fatto perdere alla Chiesa il passo coi tempi, in rapida evoluzione. Basti pensare alla rivoluzione digitale che ha cambiato le nostre abitudini. Viviamo in tempi di secolarismo e scristianizzazione; in una società liquida, come direbbe il filosofo Bauman. Cedere ancora alla tentazione di voler perpetuare il passato, perché “si è sempre fatto così”, porterà la Chiesa in un vicolo cieco, rendendola estranea al mondo contemporaneo. Nel “cambio d’epoca”, qual è quello che stiamo vivendo, non bastano più dei semplici aggiustamenti o aggiornamenti pastorali. La “pastorale del cambiamento” va sostituita con una vera conversione e con un autentico “cambiamento di pastorale”. Altrimenti, i giovani continueranno ad abbandonare la Chiesa, e non solo dopo la cresima. E il cristianesimo si ridurrà a qualcosa che andrà bene per i bambini o, al massimo, per gli anziani».

Le sembra che la Chiesa italiana sia ripiegata sul passato e sulla ritualità tradizionale più che aperta al Vangelo e alla lettura dei segni dei tempi? È mancata la profezia?

«La pandemia Covid-19, con le messe celebrate senza il popolo, ha reso ancor più urgente il rinnovamento della catechesi e della pastorale. La crisi non è il declino della Chiesa, è il declino di modelli superati. E, allora, da dove ripartire? La vera rivoluzione di Francesco è stata quella d’aver rimesso la parola di Dio al centro della Chiesa. Il cammino sinodale non può fare altrimenti, se vorrà aver successo». ◘

SERVIZIO DOSSIER a cura di Achille Rossi


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