Intervista a padre ALESSANDRO BARBAN, Priore generale della Congregazione camaldolese.
I camaldolesi hanno una tradizione spirituale che permette loro di cogliere il travaglio interiore della società contemporanea, tra un ritorno al passato e un avvenire tecnologicamente inquietante. Alessandro Barban, priore di Camaldoli, ci aiuta a cogliere il percorso della Chiesa di fronte alla modernità.
Qual è il significato del Sinodo indetto da papa Francesco? È il tentativo di ripensare in modo radicale la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo?
«Il Sinodo indetto da papa Francesco è una proposta molto importante per la vita della Chiesa di oggi e anche coraggiosa, perché è rivolto a tutta la Chiesa universale. È un cammino di tre anni a livello locale, nazionale e tra le diverse conferenze episcopali del mondo, per arrivare fino a Roma. Si tratta di un cammino lungo e le risposte saranno diverse perché la conoscenza delle potenzialità della Chiesa è molto diversa tra il nord e il sud del mondo, tra l’est e l’ovest, nelle diverse situazioni. Quindi il Sinodo è una proposta molto importante per raggiungere una consapevolezza più profonda che coinvolga tutta la Chiesa sul suo stesso cammino, sulla sua identità e anche sul suo futuro nel mondo. Questo confronto è necessario, anche se faremo i conti con situazioni molto diversificate».
La secolarizzazione ha cambiato profondamente il panorama delle società occidentali. Ci avviamo verso una decostruzione del cristianesimo oppure verso un nuovo ascolto del Vangelo? In che modo?
«Dopo il grande impatto con la secolarizzazione, che è stato il processo più duro degli ultimi trenta, quaranta anni, noi dobbiamo parlare di una “esculturazione” del cristianesimo dalla cultura e dalla società europea e occidentale, come disse Christoph Theobald. Questo lo possiamo constatare a tanti livelli, ma allo stesso tempo la finalità della secolarizzazione, che era quella di fare i conti con la religione, è fallita. La domanda religiosa di oggi, che passa attraverso una richiesta di preghiera, di meditazione, non tocca solo il buddhismo, ma anche il cristianesimo. Forse non abbiamo compreso del tutto questa domanda e quale tipo di risposta possiamo ancora dare. Il nostro cristianesimo presenta la forma di cinquant’anni fa, mentre tutto è cambiato velocemente; quindi dovremmo prestare maggiore attenzione e ascolto a questa nuova domanda di spiritualità e di fede che sta emergendo a tanti livelli».
L’esperienza religiosa ha ancora valore per la spiritualità contemporanea? La diversità delle culture mette in crisi la fede cristiana?
«La fede cristiana entra in crisi se abbiamo a che fare con la burocratizzazione, con la sua istituzionalizzazione, mentre essa nel Vangelo è ancora cristallina, ha tutta la sua potenzialità di toccare i cuori delle persone. Credo che abbiamo bisogno di riscoprire il Vangelo, di cominciare a viverlo con semplicità, che implica anche una certa radicalità. Se non intercettiamo questa domanda di spiritualità attraverso una proposta di questo genere, non daremo una risposta. La gente è stanca del chiacchiericcio politico che c’è in corso, delle prospettive tecnologiche che abbiamo a portata di mano; la pandemia ha portato a riconsiderare domande fondamentali dell’umanità. Stiamo vivendo un passaggio epocale decisivo, è inutile continuare a difendere l’istituzione-Chiesa, bisogna rimettersi in gioco attraverso il Vangelo, con semplicità e immediatezza. È necessario incontrare le persone negli snodi fondamentali della loro vita, nelle loro domande. La nostra fede ha ancora tanto da offrire agli uomini e alle donne di oggi».
Il percorso sinodale mette al centro alcuni nodi essenziali, potrebbe enuclearli un po’?
«Il Sinodo potrebbe muoversi su due sponde, una interna di revisione dell’organizzazione ecclesiale, l’altra sulle domande contemporanee. Conosciamo la crisi della parrocchia da decenni, ma c’è anche una crisi delle Conferenze episcopali. Cosa significa il Sinodo per i vescovi italiani? Cosa significa in una diocesi vivere il Sinodo? Non è solo una questione tra il vescovo, i preti e i religiosi, è soprattutto la sfida del laicato. Lo vogliamo come interlocutore vero nelle nostre domande, nelle nostre ricerche, oppure è ancora un’appendice? Mi pare che questo sia l’atteggiamento. Sulla sponda interna con questo Sinodo corriamo il rischio di non riuscire a interloquire a tutti i livelli.
L’altro nodo è il confronto con la cultura di oggi. Vediamo un’umanità che ha dei problemi e si sta indebolendo: c’è una dimensione antropologica da considerare. Le donne e gli uomini di oggi, le loro domande e la loro ricerca meritano molta attenzione. Ho sottolineato la questione spirituale che in tante persone è implicita. Chi può dare risposte di senso alla vita degli uomini e delle donne di oggi? La tecnologia? La scienza? Certamente la religione, anzi, credo, più le fedi, i percorsi spirituali. Purtroppo non abbiamo grandi profeti oggi, a differenza di trenta, quaranta anni fa. In questi giorni è morto TichNath Han, un grande testimone della fede. Dobbiamo stare tutti più vicini agli altri; le domande ci sono, dobbiamo avere il coraggio di aprire il Vangelo e offrire la sua risposta pura».
Rispetto alle questioni climatiche e internazionali, quali sono gli snodi fondamentali che sente di esprimere?
«Per quanto riguarda l’ecologia penso che i giovani siano molto più avanti della maggioranza degli adulti. Hanno più consapevolezza dei pericoli del mondo. La gran parte della gente non ha ancora capito bene cosa stiamo vivendo. I giornali e le tv ci mostrano fenomeni estremi molto gravi, ma tutto sommato ancora pensiamo di vivere sulla Terra di ieri e che tutto tornerà a posto. Non è più così. I giovani sanno che ci stiamo avvicinando a un punto di non ritorno. Il Papa, scrivendo la Laudato Si', ci indica una riconversione del nostro stile di vita, una conversione ecologica integrale.
La maggior parte della popolazione mondiale questa consapevolezza non ce l’ha, spero che non siano eventi catastrofici a farla maturare e spero che non sia troppo tardi. I giovani sanno che di plastica o petrolio non se ne può più, ma questo significa andare a intaccare degli interessi economici globali. Se non ci sarà un cambiamento ecologico radicale, dovremo prepararci a un disastro notevole.
Ma ci sono anche altri nodi. Noi facciamo politica alla vecchia maniera. L’Europa non riesce a trovare quella unità di intenti che i padri fondatori avevano sognato. Il tema della democrazia è centrale, dobbiamo domandarci se ci crediamo ancora, se crediamo nella partecipazione della gente o si tratta di una tecnocrazia. Vogliamo una economia tecnologica e robotizzata o che tenga presente anche gli ultimi e la questione ecologica? Ci stiamo confrontando con problematiche enormi e avremmo anche le competenze di dare risposte innovative e alternative, ma ci sono in gioco troppi interessi e c’è una chiusura che non ci permette di formulare risposte innovative».
Quali sono le logiche mondane che impediscono alla Chiesa di esprimere la sua spinta profetica e di recuperare il Vangelo?
«La logica mondana è soprattutto quella del potere. Anche nella Chiesa ci sono competizioni per il potere e questa non è una mentalità evangelica, di servizio al popolo: si vuole solo raggiungere una posizione apicale. Ci sono spinte individualistiche e questo fenomeno è presente da decenni nella Chiesa. Un altro aspetto molto serio è la questione liturgica. La riforma del Vaticano II l’abbiamo recepita? A me sembra che in tante parti del mondo non sia stata né compresa né accettata. È nella liturgia che la Chiesa si raccoglie: se non celebriamo insieme, cambia l’idea di Chiesa e di spiritualità, diventa una Chiesa verticistica, non comunitaria e circolare. Ci sono delle questioni aperte e il Sinodo potrebbe essere l’occasione opportuna per crescere insieme: questa è la speranza del Papa. Riusciremo a elaborare una consapevolezza comune del nostro essere Chiesa oggi? Lo spero». ◘
SERVIZIO DOSSIER a cura di Achille Rossi