Editoriale.
Le trattative tra russi e ucraini hanno avuto l’esito di creare cordoni umanitari che permettono alle persone di uscire dall’incubo della guerra, ma il conflitto non si è fermato. L’obiettivo di Putin è fin troppo chiaro: occupare l’Ucraina prima possibile, installare un Governo vassallo obbediente a Mosca e perseguire il sogno imperialistico di ricostituire la grande Russia di un tempo.
Le guerre di Putin le conosciamo; ha massacrato 160.000 persone a Grozny, ha bombardato a tappeto Aleppo, in 8 giorni è arrivato in Georgia, ha occupato la Crimea e adesso si prepara a spianare Kiev, senza considerare il prezzo di vite umane che bisognerebbe sacrificare. Ma nella logica di Putin sono “danni collaterali”. Si è scontrato però con un popolo che vuol difendere la propria indipendenza e la propria libertà e non si piega ad alcuna invasione straniera.
Addestrato nelle file del Kgb Putin adopera il pugno di ferro, ma ci sono due variabili che gli sfuggono: l’opposizione interna che non vuole la guerra tra persone che condividono la stessa lingua e il peso delle sanzioni internazionali che pesano sulla economia russa e la spingono al collasso. Anche il bombardamento sulla centrale atomica di Zaporizhzha, che ci ha fatto rivivere l’incubo di Cernobyl ed ha allarmato l’Europa e l’Onu, segnala che il trono di Putin comincia a manifestare alcune crepe.
Sarebbe meglio per lui e per noi sedersi a un tavolo per negoziare, anche perché la guerra-lampo che aveva sognato non si è realizzata e il tempo non gioca a suo favore.
L’"operazione speciale" della sua propaganda potrebbe trasformarsi in una guerriglia permanente dall'esito incerto.
Offrire a Putin una via di uscita dalla guerra in cui si è impantanato lo richiede l’opinione pubblica internazionale, che sa bene chi è l’oppressore e chi è l’oppresso. ◘
Redazione l'Altrapagina.it