PERSONAGGI. La scomparsa di don Giovanni Gnaldi.
Nel primo pomeriggio di venerdì 11 febbraio, presso l’ospedale di Città di Castello dove era ricoverato dal 26 gennaio scorso, è morto don Giovanni Gnaldi, sacerdote molto noto e amato a Città di Castello e nell’intera Valtiberina umbro-toscana.
Figlio di Duilio e di Rosa Coleschi, Giovanni era nato a Citerna il 28 aprile 1944; rimasto orfano di entrambi i genitori, era stato accolto insieme ai fratelli nel collegio istituito dal vescovo Filippo Maria Cipriani presso il santuario di Canoscio. Questo luogo gli rimarrà sempre nel cuore, così come gli amici collegiali – per i quali organizzava le “rimpatriate” annuali – e suor Flavia, delle Piccole Ancelle del Sacro Cuore, con cui resterà legato per tutta la vita.
Studente prima del Seminario tifernate e poi del Seminario romano, era stato ordinato sacerdote a Pistrino il 19 settembre 1970. Gli anni romani sono stati per Giovanni molto significativi. Studiare a Roma durante il Concilio Vaticano II e nell’immediato post-concilio gli ha permesso di allargare i propri orizzonti culturali.
È stato parroco di Somole dal 1 luglio 1971 al 1 gennaio 1974, ma in questi anni ha seguito anche gli emigranti italiani in Svizzera; in seguito è stato vicario parrocchiale a San Pio X in Città di Castello dal 1 gennaio 1974 al 1983, prima collaborando con don Luigi Baldicchi e d. Tonino Rossi, poi con mons. Edoardo Marconi. Alla fine degli anni '70 conosce l’esperienza di Emmaus e l’Abbé Pierre, entrando in contatto con la comunità di Laterina: da qui nasce l’esperienza dei campi di lavoro e di un centro di raccolta; ma, soprattutto, nascono altre significative relazioni umane, che Giovanni continuerà a coltivare.
Dal 1980 al 1983 ha servito la piccola parrocchia di Prato (nel Comune di Monte Santa Maria Tiberina), frequentata anche con i ragazzi di San Pio come luogo di ritiro e fraternità. Profondamente inserito nella Chiesa locale, a livello diocesano è stato membro del Consiglio presbiterale dal 1979 al 1982 e assistente diocesano Unitalsi dal 1976 al 1979.
Nel 1984, a quaranta anni di età, parte come missionario fideidonum in Perù. Qui, prima nella periferia di Lima e poi in vari paesi sulle Ande, vive il suo ministero innanzi tutto immergendosi nella realtà umana e sociale peruviana. È lì “per” gli altri, ma principalmente è lì “con” gli altri; questo è stato il suo stile: farsi prossimo, stare accanto, condividere la vita di persone e comunità. Uomo della parola, dei sacramenti e delle relazioni personali: questo è stato don Giovanni (padre Juan, hermano Juan), che non ha trascurato nemmeno la promozione umana, favorendo la costituzione di una cooperativa di donne lavoratrici della lana di alpaca. Non me ne ha mai parlato direttamente; me ne accorsi quando arrivò a casa dei miei genitori un pacco dal Perù contenente cappelli, sciarpe e guanti di alpaca. A Puno gli è stato intitolato l'Istituo intitolato a “Juan Gnaldi Coleschi”.
Nel 2009 torna in Italia per prepararsi a una nuova esperienza missionaria, in Bangladesh: qui vive dal 2011 al 2017, presso una comunità del Pontificio Istituto Missioni Estere, imparando nuovi costumi e una nuova lingua, instaurando nuove relazioni, vivendo lo stesso Vangelo. Gli anni della missione sono ben documentati nel libro Así es la vida!, pubblicato pochi mesi fa, nel quale don Giovanni ha raccolto le tante lettere inviate ai suoi amici.
Nel 2017 rientra in diocesi e riparte per il Perù, mantenendo vive e feconde le relazioni vissute in quella terra. Rientrato in diocesi a inizio pandemia, ha collaborato anche in Toscana. Nell’ultimo anno, quando le condizioni di salute si sono aggravate, si è preparato al passaggio dal tempo all’eterno creando spazio per la propria tomba presso quella dei genitori, donando alla biblioteca diocesana i propri libri e riviste e, infine, ricevendo quei sacramenti che tante volte aveva impartito ad altri. Nel 2020 ha celebrato, con la sobrietà che lo contraddistingue, il cinquantesimo anniversario di ordinazione sacerdotale.
La sua è stata una presenza silenziosa, discreta, gentile, attenta, incisiva. Con il suo modo di fare ha insegnato l’attenzione verso l’altro, l’amore per la preghiera e la liturgia, la capacità di allargare i nostri orizzonti; interessato alla Storia, ma anche attento al tempo presente, riflessivo e acuto, sapeva condurre una discussione critica e stimolante, mai polemica. Ha amato la Chiesa, sapendo vivere a fondo la dimensione diocesana e quella universale; ha amato Dio, soprattutto nella sua parola e nei poveri, fra i quali è stato con l’umiltà di chi si mette accanto; ha amato la sua famiglia, rimanendo profondamente legato a fratelli, nipoti, cugini. Attento agli altri, accogliente, disponibile e paziente, ha saputo costruire relazioni umane sincere e profonde, durevoli nel tempo e coltivate nonostante le distanze “oceaniche”. Sapeva ascoltare, dedicare tempo agli altri, insegnare e imparare nella frequentazione assidua di persone; aveva un forte senso della memoria e, pur con il cuore aperto al mondo, un profondo senso delle radici e una forte appartenenza a quella tradizione ecclesiale che lo aveva generato alla fede.
Nella società del clamore, dell’apparenza e dell’autoreferenzialità, don Giovanni ha vissuto, e insegnato, i valori del silenzio, dell’autenticità, della condivisione, della fraternità e dell’umiltà. ◘
Di Andrea Czotek