Edilizia. Gli effetti perversi della legge per l'efficientamento energetico.
Potrebbe apparire fuori tempo trattare un argomento interno come il Superbonus mentre è in corso la trattativa fra le delegazioni russa e ucraina per evitare una catastrofe per il mondo. Ma il contributo del 110% per l’edilizia è il piccolo sintomo di una grave malattia, non tanto perché rappresenta l’ennesimo espediente escogitato da qualche partito per acquistare consenso da gruppi riconoscenti, scaricandone l’onere sulle prossime generazioni; stavolta, la consueta ostentata volontà di perseguire obiettivi giusti – in questo caso l’efficienza energetica e la creazione di lavoro – è stata concretizzata in proporzioni e con modalità incredibilmente sconsiderate.
Le enormi dimensioni del finanziamento stanziato sono largamente sproporzionate alle possibilità di reperimento delle materie prime necessarie, con la conseguente esplosione dei costi; mettono in crisi la capacità produttiva delle imprese e la reperibilità di lavoratori, a scapito dell’economicità, della qualità e della sicurezza. Per giunta, l’attuale drogaggio della domanda determinerà, in prospettiva, uno speculare rimbalzo negativo per i settori delle costruzioni e dell’impiantistica.
Il finanziamento, basato sulla cessione multipla del credito (una vera primizia), rappresenta un invito a prevedibilissimi abusi a danno dello Stato. Meno evidenti sono le anomalie nell’accesso ai benefici che nessuno sarà in grado di controllare sotto il profilo tecnico.
L’estensione del finanziamento alle villette penalizza i condomìni, per i quali la generosità del finanziamento può essere giustificata per la fattibilità degli interventi, a causa delle scarsità economiche e della problematicità del consenso fra i numerosi proprietari coinvolti; inoltre, il maggiore rapporto dei volumi degli edifici rispetto alle superfici esterne, comporta – nessuno lo ha segnalato – maggiore efficienza energetica a parità di pannelli isolanti.
È particolarmente scoraggiante che le ingenti risorse non siano state destinate alla manutenzione straordinaria del patrimonio pubblico – scuole, ospedali, strade, percorsi pedonali – che avrebbero portato agli stessi obiettivi per l’ecologia e per il lavoro, ma con vantaggi estesi a tutti i cittadini e con maggiori possibilità di verifiche delle irregolarità. Si è preferito versare le monete nelle tasche dei singoli, per ottenerne la gratitudine, piuttosto che renderle impercepibili diluendole in quelle di tutti.
Ma l’aspetto più allarmante è l’impotenza dimostrata dal primo ministro, prigioniero della responsabilità di non lasciare il timone, nel bloccare un’operazione che non condivide. Questa desistenza è un drammatico sintomo della crisi della Repubblica che, seppure comune ad altre democrazie liberali, è resa più pericolosa dalle dimensioni abnormi del nostro debito pubblico.
Questa condizione non può esimerci dal confronto con i regimi autoritari che, a scapito delle libertà e dei diritti dei cittadini, sono in grado – è il caso della Cina – di conseguire impressionanti progressi in campo scientifico, tecnologico e, in prospettiva, culturale ed economico per fasce crescenti della popolazione. Se è scontato che le autocrazie, estranee alla civiltà europea ed occidentale, non possono essere prese a modello, non è eludibile la impellente necessità di rivitalizzare la nostra Repubblica, altrimenti condannata al degrado. Il nemico – il supermalus – è il dilagante individualismo (tendente al singolarismo) che disconosce il patto costituzionale alla base della democrazia.
Se ce ne fosse il tempo, l’educazione delle nuove generazioni – comunque indispensabile – costituirebbe l’antidoto più efficace.
Un’occasione meno remota per la rinascita è fornita dalle prossime elezioni, che concluderanno la fase di obbligato commissariamento del Governo: i cittadini avranno l’opportunità – e il dovere – di mobilitarsi alle urne, soprattutto quelli rassegnati all’astensionismo, per selezionare i propri rappresentanti senza abboccare a quello che prometteranno, ma in base a quello che hanno fatto nell’interesse della società. Potrebbe apparire un’utopia semplicistica, se non avesse la forza della mancanza di alternative. La pandemia e la guerra dovrebbero averci risvegliato. ◘
Di Mario Tosti