UCRAINA. La guerra che si combatte sull'orlo del cratere nucleare.
L’illusione di portare la Russia in Europa è durata poco. Fare da Lisbona a Vladivostok un’unica area di scambio e di collaborazione economica, politica e culturale è stata una grande idea che ha avuto breve vita subito dopo il 1989. Così come la firma sui missili balistici, lo Start 1, sembrava aver aperto la strada per la eliminazione degli arsenali atomici. I semi di speranza continuarono a diffondersi con Bush junior quando affermava che la guerra fredda era finita e chiamava il Presidente russo: «Il mio amico Putin». Tutto faceva pensare che la Storia avesse imboccato il tornante della pace. Nel 1992 Francis Fukuyama con il suo libro La storia è finita e l’ultimo uomo, annunciava al mondo che lo sviluppo umano aveva raggiunto il suo apice, la marcia dell’uomo verso la libertà aveva trovato con le democrazie liberali il suo alveo naturale e per alcuni anni la pazza corsa agli armamenti subì un brusco arresto. Era questo il dividendo di pace, come lo ha chiamato Raniero La Valle, che si era reso disponibile. Quel nuovo clima faceva presagire un nuovo corso delle relazioni internazionali tra i popoli. Ma già nel 1995 la lancetta atomica cominciò a muoversi lentamente e nel 2001 l'attacco alle torri gemelle cambiò la Storia. Il complesso militar-industriale statunitense cominciò ad accelerare il motore, gli armamenti ripresero a crescere e con essi l'economia. Da allora comiciò un'altra narrazione, che individuava nella globalizzazione neoliberale occidentale-statunitense il nuovo ordine unipolare da estendere al mondo, ovvero di trasformare il pianeta in un unico mercato, in cui le multinazionali avrebbero avuto campo libero. Tutti avrebbero tratto beneficio dal nuovo impulso purché accettassero le nuove condizioni imposte dal decisore di prima e di ultima istanza. A quel punto gli Stati Uniti sono usciti dal sistema giuridico internazionale, convinti che il loro potere e il loro destino, la città sulla collina che illumina il mondo, li ponessero al di sopra e al di là di ogni ordine che non fosse a loro riconducibile. L’implosione del sistema sovietico aveva decretato un unico vincitore: un’unica guida politica dominante e un unico modello economico accessibile a tutti. Per garantire il nuovo assetto anche la Nato, usata durante il confronto est-ovest come strumento difensivo, fu trasformata nel braccio armato del nuovo sistema. Così la guerra, uscita dagli ordinamenti internazionali alla fine del 1945 e dopo Hiroshima, ricompariva nello statuto della Nato, sottoscritto dalle stesse nazioni che l’avevano bandita, non più e non solo come strumento di difesa. Il nuovo meccanismo di penetrazione ed espansione globale, costituito da mercatismo, politica e Nato, ha cominciato a dettare le sue leggi e a fare le sue guerre, individuando il possibile antagonista nella Cina, perché si pensava che la Russia, ormai depotenziata, non costituisse più un ostacolo.
Quello che non si era capito è che la Russia non era stata solo una grande potenza, ma anche un grande impero e la Storia insegna che i grandi attori dei processi evolutivi, se subiscono obtorto collo le sconfitte, non accettano le umiliazioni. Era stato così anche dopo la fine della prima guerra mondiale. E la Russia ha trovato in Putin l’interprete ideale per ridare al Paese quel senso di grandezza e di dignità perdute. Dal 1999, anno in cui l'uomo del Kgb diventa Presidente, è stato un susseguirsi di guerre, interne ed esterne, per assicurarsi tutto il potere e per recuperare con motivazioni più o meno presentabili agli occhi dell’Occidente i territori confinanti: la guerra al terrorismo islamico nelle Repubbliche caucasiche e il rischio dell’accerchiamento Nato in Europa. Così si è riacceso un nuovo confronto che ha ridato centralità alla guerra, e non solo convenzionale. La mobilitazione della deterrenza nucleare, richiesta dal Presidente russo, lo ha spiegato al mondo. Che si sia aperto ormai un antagonismo che riporta in primo piano non la guerra fredda, minacciata e mai agita, ma una possibile guerra nucleare Putin lo ha rivelato con la logica che gli è propria: «Bisogna colpire sempre per primo». Di fronte a questo scenario tornano in mente le parole di Ernesto Balducci di 40 anni fa: «Se questo antagonismo scoccasse in un conflitto, esso non potrebbe in nessun senso chiamarsi guerra, ma annientamento, sterminio. Infatti il fragile residuo razionale che regge l’equilibrio del terrore si dice tecnicamente “mutua distruzione assicurata”. Si tratta di una definizione che nega concettualmente quella di guerra».
La corsa al riarmo, che sta riprendendo credito sui cadaveri della folle guerra ucraina, sarebbe un grave errore, perché è ormai chiaro che le guerre, se mai hanno avuto una logica, oggi non si possono più combattere, perchè il potere distruttivo è tale che non può più essere gestito né dagli uomini né, tantomeno, dagli algoritmi. ◘
Di Antonio Guerrini