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Ponti umani a Mostar

DOSSIER: LA TRAGEDIA DEI BALCANI
quella guerra fu un crimine altrapagina marzo 2022 3

Sono esattamente 30 anni da quando l’Europa entrava sempre più a fondo in uno dei periodi più bui della sua storia con quanto aveva iniziato ad ‘accadere’ (come un evento temuto, ma incredibile, per la sua violenza e durata) in quell'area che, quasi come uno scongiuro o una negazione, si era da subito posta sotto la qualifica di ‘ex’: una realtà ben nota, familiare, ma che non si voleva riconoscere come ‘propria’. La ex-Jugoslavia passava da area ‘altra’, ma soprattutto, in fondo, di vacanze belle e a più basso costo, a zona di guerra: difficile da qualificare: parte di una evoluzione post-Urss? Etnica? Civile?… Di chi contro chi? Perché? E soprattutto in vista di che cosa? E con che coinvolgimenti? E con quali armi e vittime designate?

ponti umani a mostar altrapagina marzo 2022 5È importante, e imprescindibile, evocare – con le stesse domande con le quali si vivono i giorni di questa fine di febbraio 2022, imposte da quanto sta ‘accadendo’ in Ucraina – la guerra che dal 1991/2 si sarebbe protratta per più anni, e le cui conseguenze sono ancora una realtà culturale e di civiltà: non avrebbe senso infatti fare memoria di un passato che molta cronaca fa finta non sia mai esistito, anche se era alle nostre frontiere. Sono tanti, oggi, nella cronaca e nei dibattiti, che dicono che la guerra in corso è tanto più grave perché è la prima dopo la seconda guerra mondiale, e ‘rompe’ una pace che durava, grazie alle politiche della UE, da più di 70 anni.

La qualifica di ‘ex’ sopra ricordata coincideva allora con lo stesso tentativo che è oggi in corso: trovare un colpevole che permetta di non sentirsi coinvolti o responsabili: immaginare che la guerra è riconducibile a decisioni ‘razionali’ che non ci tocchino.

Per orientarsi, oggi, al di là delle cronache, sui diritti-valori dei popoli (quelli concreti: fatti di persone, delle loro vite, del loro soffrire e morire, piuttosto che sognare futuro) è fondamentale ricordare che la guerra era stata dichiarata ‘obsoleta’ e ‘proibita’ dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e dalle Costituzioni democratiche. Riconoscerne l’esistenza significava riconoscere un fallimento per una società come quella europea, che stava assestandosi, soddisfatta, sui diritti permessi-perseguiti dai propri modelli di sviluppo. Era meglio qualificarla come un disordine più o meno grave, ma interno a Paesi che non avevano avuto la fortuna di un’esperienza di democrazia.

ponti umani a mostar altrapagina marzo 2022 7La diagnosi formulata dal Tribunale Permanente dei Popoli (nel 1995, appena possibile nella sostanziale reticenza dei Governi, in un quadro politico tragico per le violazioni massicce e incredibili per crudeltà e sistematicità), in due sessioni internazionali, a Berna e a Barcellona, era molto chiara. La ‘guerra’ aveva coinvolto non solo popoli e minoranze di quei territori: era stata provocata-orientata-gestita da una serie di attori e di interessi geopolitici, che si scontravano contro tutte le regole del diritto internazionale. Il ‘crimine’ era la guerra: e come crimine complessivo poteva includere tutti i crimini contro l’umanità e le dignità individuali e collettive. Fino al genocidio, commesso avendo come spettatori (impotenti? conniventi?) i rappresentanti della Comunità internazionale. Trovare le responsabilità ‘legali’ dei singoli o dei gruppi era importante (e le sentenze del Tpp rappresentano in questo senso uno strumento molto completo e ‘didattico’, così come più tardi alcune delle decisioni della Corte Penale Internazionale, che stava allora formandosi). Ma era più fondamentale essere il promemoria che la ri-introduzione della ‘guerra’ come strumento per ‘mettere ordine’ (… era di pochi anni prima la guerra del Golfo: per la democrazia, o per il petrolio?) faceva ri-entrare in un tempo che faceva della pace una variabile dipendente dagli interessi del momento e dei luoghi.

La guerra mondiale frammentata e diffusa di cui avrebbe parlato papa Francesco, armata di bombardieri o di economia o di diseguaglianza poteva riprendere il proprio diritto di cittadinanza: per le ragioni più diverse, dalle Torri Gemelle (non sarebbero passati tanti anni…), alla Siria, alle decine di ‘focolai’ nel mondo: con le stesse regole più o meno feroci o distruttive: avendo la memoria del genocidio specifico delle donne nella Jugoslavia, passando per gli onnipresenti ed inevitabili "soggetti fragili"…

Le storie ufficiali di quanto ‘accade’ nelle guerre rivelano, prima o poi, tanti aspetti che non sono discernibili in tempo reale, anche perché si sa che il mentire è un’arma imprescindibile della guerra. La Storia dei popoli reali vorrebbe essere raccontata da loro, non come vittime, ma come soggetti e creatori di dignità. È l’unico obiettivo di un osservatorio-strumento tanto piccolo come il Tpp. Il titolo di una delle sue Sessioni a Berna diceva, per riassumere le raccomandazioni sul che fare: “Non esiste una via per arrivare alla pace: la pace è l’unica via”.

Ripetere senza stancarsi, e senza illusioni questa utopia, più concreta di qualsiasi invio-uso di armi, è l’unico modo di parlare, ‘al presente-futuro’, di quanto (con attori diversi di nome, ma molto simili a quelli di ‘allora’) accade nel cuore dell’Europa in questi giorni: questa volta l’esportazione della violenza specifica della guerra in altri Paesi non è stata possibile.

E il brevetto per vaccini efficaci contro le tante pandemie che confluiscono nelle guerre, qualsiasi sia il loro nome, non appartiene se non ai popoli che, contro tutti i calcoli pieni di interessi dei poteri, scelgono di essere testimoni, molto attivi, pieni di iniziative, della pace. ◘

 

 

di Marta Cerù


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