Perché la guerra finisca. Occorre una mobilitazione popolare permanente.
Questo è un numero quasi monografico sulla guerra, com’è ovvio che sia. Non tutti gli articoli esprimono una linea interpretativa uniforme, perché il tema è talmente complesso che è difficile dare una spiegazione univoca dei fatti. Quello che ci preme sottolineare è l’assurdità e l’anacronismo della guerra in un mondo divenuto multipolare, interdipendente, informato in tempo reale, e per alcuni disinformato in tempo reale. L’assurdità di vedere milioni di persone, donne, bambini e anziani, dover abbandonare da un giorno all’altro casa, lavoro, scuola, abitudini, amici, consuetudini e trovarsi all’improvviso senza futuro, con la morte negli occhi, in balia di eventi impossibili da controllare; l’assurdità della distruzione in pochi giorni dell’ambiente, delle città, dei teatri, degli ospedali, delle scuole, di tutto quello che con sforzo titanico, civile e umano, era stato costruito negli ultimi trent'anni di vita, per uscire da una storia precedente anch’essa funestata da povertà, mancanza di libertà, terrore, morte. Nessuno pensava più di poter vedere bambini uccisi, donne stuprate, donne incinte, nude, portate a dieci gradi sotto zero fuori da ospedali bombardati, corpi smembrati, cadaveri non ricomponibili ammucchiati a tonnellate, come afferma Nello Scavo, anziani e infermi deambulare per le strade inebetiti e senza meta… E nessuno pensava di poter vedere eccidi come quello di Bucha, i cadaveri abbandonati nelle strade e le fosse comuni.
Questa sequenza di eventi si è sviluppata in tutte le guerre degli ultimi trent'anni, molte di esse definite umanitarie, ma che hanno avuto gli stessi effetti. E in esse non ci sono buoni e cattivi, ma un unico mostro: la guerra stessa. Le ragioni possono essere suddivise in legittime e infondate, ma quando l'ultima parola su di esse spetta alla guerra, tutto finisce in un crogiuolo che annichilisce le une e le altre.
In questa situazione diventa difficile assicurare il primato della ragione, perché le emozioni prendono il sopravvento e finiscono per sdoganare gli istinti e le paure più temibili. La sovrapposizione di piani diversi ha causato uno stato confusionale in molti commentatori, cosa prevedibile e fisiologica, ma come accade spesso nel nostro Paese, ciò ha dato fiato alle trombe delle tifoserie o dell'una o dell'altra parte degli attori in conflitto, facendo perdere di vista l'aderenza ai fatti e la necessaria astrazione per valutarne gli effetti.
Ma un punto fermo su cui far leva per poter parlare dell'indicibile di ogni guerra deve esserci, e a nostro giudizio è la libertà. Quando un Paese aggredisce un altro Paese sovrano violando tutti i codici di giustizia e del diritto internazionale si capisce subito da quale parte stare. E questo è un codice da tenere presente anche per spiegare la ragione della resistenza del popolo ucraino.
Una cosa di cui si è poco parlato è proprio il ricordo della Storia recente dei Paesi che facevano parte dell’ex Unione sovietica, stretti dalla morsa della dittatura, che non lasciava spazio di autonomia né di libertà. Chi ha provato a uscire dalla rigida “cortina di ferro” è rimasto schiacciato come è accaduto a Budapest (1956), a Praga (1968), a Danzica (1980). Mentre a Berlino la gente continuava a morire a decine di migliaia per attraversare il muro, rimanendo impiccata sul filo spinato o colpita alle spalle dai cecchini della Stasi. Questo spiega perché gli ex Paesi della Unione sovietica sono disposti a tutto pur di non ritornare sotto l’ombrello di Santa Madre Russia, e perché ciò abbia più valore della espansione della Nato, che pure ha armato la mano dell’Autocrate. Senza tale espansione lo scontro sarebbe stato ugualmente inevitabile, perché la Russia è rimasta impero anche sotto l’Unione sovietica e fino a oggi, e avrebbe preteso ciò che considera la “sua area di appartenenza”: quei Paesi lo sanno da sempre, noi no. E che così stessero le cose lo ha spiegato lo stesso Putin, per il quale le motivazioni del conflitto non sono primariamente geopolitiche e strategiche, ma spirituali e metafisiche e per questo strategiche. L’Ucraina non esiste, ha affermato, essa fa parte di quel grande “spazio russo” che è unità geografica, culturale, linguistica e religiosa. Non a caso Putin si è richiamato a questi elementi identitari, così come è accaduto nella ex Jugoslavia, per giustificare la sua guerra: la sacralità delle fedi e dei valori russi contrapposti a quelli decadenti e perversi dell’Occidente.
Dopo l’umiliazione della sconfitta subita con la Guerra fredda, sarebbe stato insopportabile il contagio dei valori occidentali di libertà e di democrazia proprio nel cuore della Nazione russa. L’abdicazione militare, economica e ora anche valoriale avrebbe messo in crisi definitivamente la sopravvivenza della civiltà russa, quanto i missili schierati ai suoi confini. Gli Stati Uniti e i suoi vassalli occidentali, pensando di aver vinto la Guerra fredda, hanno spinto fino al limite la possibilità di indebolire e distruggere la Russia. Cosa da cui erano stati messi in guardia da Gorbaciov, ma anche da Henry Kissinger e George F. Kennan che certo non sono colombe statunitensi.
Se questa tragedia è stata scatenata da un dittatore come Putin, ad armargli la mano sono state le politiche aggressive messe in atto dall’Occidente e dalla Nato. Ma armare non significa necessariamente uccidere. E quando si decide di uccidere e nel modo in cui lo sta facendo Putin non ci sono giustificazioni o ambiguità, quelle che vediamo serpeggiare così doviziosamente in tante bocche della Sinistra, che sembra non essersi accorta che il 24 febbraio è iniziata un'altra storia. A Bucha si uccide all'antica, casa per casa, fienile per fienile, e poi si sparano missili supertecnologici e si combatte via etere la battaglia delle diverse propagande.
Ormai è chiaro che le politiche di potenza non possono più essere regolate dalla guerra in un mondo pieno di bombe atomiche. La guerra va bandita dalle Costituzioni e dagli ordinamenti internazionali, e per questo deve affermarsi una Costituzione globale in grado di elaborare su nuove basi giuridiche i rapporti tra i popoli. La decisione dei Paesi occidentali, Italia compresa, di innalzare le spese militari al 2% del Pil non solo è ingiusta ma anche anacronistica. Ciò che realmente si innalza con tale scelta è la soglia di rischio e di guerra. L'unica via della pace è il disarmo, ha detto Norberto Bobbio qualche decennio fa, e il Papa ha aggiunto che la guerra “è una pazzia”. Pensare di costruire il futuro del mondo sull’ampiezza degli arsenali militari è follia pura, perché ciò porta a organizzare i rapporti tra le Nazioni in termini di forza, di contrasto e non di cooperazione. E la Chiesa dovrebbe fare propria la visione profetica di questo Papa e intestarsi una campagna di mobilitazione permanente per dire “Fermate la guerra subito”, rivolgendosi a credenti e non credenti, invitandoli a scendere nelle piazze. I partiti non sono in grado di farlo e nemmeno i pacifisti rimasti impigliati nell’inconsistenza del neneismo. ◘
di Antonio Guerrini.