SINODO. La consultazione voluta dal Papa scuote la Chiesa locale. Ne parliamo con alcuni protagonisti.
Papa Francesco sta dimostrando un coraggio che raramente si è visto nel corso della Storia della Chiesa. Tra le tante svolte che ha cercato di imprimere durante il suo pontificato, il Sinodo rappresenta una delle più significative: recuperare il volto autentico della comunità cristiana. Dopo il dossier dedicato al Sinodo nel mese di febbraio 2022, riprendiamo il discorso cercando di approfondire come questo evento abbia interpellato la Chiesa locale. I nostri interlocutori sono Alessandro Pacchioni, referente dei gruppi di lavoro della Diocesi scelto dal Vescovo, Marcella Monicchi, moderatrice, e don Filippo Milli, parroco di San Giustino e referente per la zona nord della Diocesi.
Altrapagina. La Chiesa locale ha iniziato un cammino sinodale con una serie di incontri con laici e religiosi. Da questa consultazione di base quali elementi significativi sono emersi?
Pacchioni
«Tengo a sottolineare che il Sinodo non è stato fatto per produrre un documento finale, ma per recuperare uno stile di dialogo nella Chiesa. Il Papa chiede di mettersi in ascolto reciproco e cercare la voce di Dio che parla attraverso il suo popolo. Non si tratta quindi di promuovere una riforma della Chiesa, ma di mettere in atto un processo. Già nella Evangelii Gaudium il Papa parla di una Chiesa che deve mettere in atto nuovi processi, e nella Diocesi abbiamo assistito a qualcosa che è andato oltre le aspettative iniziali, con la costituzione di 40 gruppi sinodali, che in media hanno coinvolto 10 persone ciascuno, nonostante la pandemia: in tutto 400 persone. E non si tratta solo di credenti che già partecipano alla vita parrocchiale, ma anche altri hanno voluto dare il proprio contributo».
Monicchi
«Penso che la cosa fondamentale sia proprio l’acquisizione di uno stile come suggerito dal Papa anche se, in termini di contenuti e di partecipazione, qualche aspettativa è rimasta frustrata. Il Sinodo prevedeva di usare due registri: l’ascolto e l’apertura verso l’esterno. Quando parlo di ascolto non intendo solo un esercizio tra di noi, ma anche dell’ascolto di chi è al di fuori della Chiesa, del rapporto Chiesa e mondo, un confronto che può rinvigorire la presenza della Chiesa nella società. Sotto questo profilo si poteva fare di più. Tuttavia il Sinodo diocesano è stato un momento molto importante, un modo per incontrarsi anche se questa modalità dell’intra-noi è stata prevalente.
Credo che una maggiore apertura al mondo aiuterebbe ad aprire nuovi percorsi».
Don Milli
«In un primo momento la proposta del Sinodo è stata accolta in modo tiepido e da parte del clero è stata vista come l’ennesimo tentativo di analisi dei mali della Chiesa. Poi, man mano che arrivavano i resoconti dei vari incontri, l’atteggiamento è cambiato perché si è compreso che c’è un desiderio profondo di autenticità che non dipende solo dalla situazione drammatica in cui ci troviamo, anche se questa istanza non si è trasformata nella capacità di parlare agli altri e alla società. Possiamo leggere questa prima fase del Sinodo alla luce della parabola della pagliuzza e della trave nell’occhio; da una parte c’è la necessità di aprirsi al mondo, ma se non riusciamo a togliere le travi che abbiamo nei nostri occhi, vedi pedofilia e scandali a livello del clero, è poi difficile parlare come Chiesa dei temi morali quali l’aborto, eutanasia, suicidio assistito, ecc.».
Pacchioni
«Tuttavia anche i non credenti riconoscono che, dopo il tramonto delle grandi ideologie, questo Papa è una delle poche figure capaci di parlare a tutti in nome della persona umana e in difesa della sua dignità. E bisogna aggiungere che esiste una grande collaborazione tra la vita della Chiesa e la vita della società civile in alcuni campi, e se la Chiesa si impoverisce anche la società civile ne risente. Mi sembrano sottolineature davvero degne di nota».
Monicchi
«Dicevo prima della “scoperta” positiva dell’ascolto e del confronto, atteggiamenti spesso assenti anche nei gruppi ecclesiali. Questo clima ha suscitato davvero interesse in molti dei partecipanti i quali hanno addirittura chiesto di poter continuare e incontrarsi».
Altrapagina. La preoccupazione prevalente di questo Papa sembra rivolta all’uomo in quanto tale e non solo al credente e perché la Chiesa faccia sentire la sua voce rispetto ai temi dell’ambiente, della povertà, dell’economia, della guerra. Si ha la sensazione che i vari gruppi locali invece sembrino chiusi in se stessi e un po’ sordi rispetto a queste urgenze.
Pacchioni
«Credo che il Sinodo ci imponga l’obbligo di guardare avanti. Spesso sento dire che la Chiesa locale è fatta di tanti gruppi chiusi o elitari, cosa in qualche misura vera. Tuttavia siamo entrati in una fase storica nuova e la stessa pandemia ci ha aiutato a capire che questa chiusura deve essere superata. C’è una volontà di mettersi in discussione e c’è spazio per tutti, e a tutti è richiesto di sporcarsi le mani anche a livello pastorale, perché il futuro è ormai questo».
Monicchi
«A mio parere tra la forza profetica del Magistero di papa Francesco e la realtà nostra, di Chiesa di Città di Castello e anche di Chiesa Italiana, c’è una grandissima distanza, perché effettivamente non siamo molto capaci di raccogliere le provocazioni forti che il pontefice fa alla Chiesa e al mondo.
Ci sono tantissimi aspetti sui quali dovremmo porre l’attenzione: per esempio il tema della guerra che ci scuote profondamente, però ci si limita a guardare i profughi ucraini o quelli che rimangono uccisi sotto i bombardamenti e a dire poverini poverini. Sì, c’è tanta accoglienza e c’è tanta solidarietà, tuttavia le nostre comunità cristiane dovrebbero fare un salto di qualità nel senso di riuscire a prendere una posizione di forte condanna nei confronti di questo dramma e della guerra.
La profezia di Francesco purtroppo non ha trovato grandissime risposte: mi chiedo quale sia stata recepita la Laudato si’ a livello del problema ecologico e climatico, per non parlare del ruolo della donna all’interno della Chiesa…».
Don Filippo
«Il problema certo esiste, perché vediamo a livello locale e a livello generale il rischio di quello che ha fatto Draghi che ha ringraziato il Papa con parole toccanti e poi abbiamo inviato le armi e aumentato le spese militari. Bisogna trovare il modo di incarnare nella vita di ogni giorno le sollecitazioni del magistero. Forse ci fa fatica comprendere l’abbondanza di queste provocazioni perché ancora non siamo entrati in sintonia nemmeno con gli insegnamenti del Concilio Vaticano II, figuriamoci con encicliche come Laudato si’ o Evangelii Gaudium. Probabilmente il Papa è consapevole di tali inadempienze nei confronti del Concilio, e per questo invita la Chiesa ad agire».
Altrapagina. Nella Chiesa azione e contemplazione sono due termini di una esperienza di fede in perenne tensione e ricerca di un equilibrio tra vita personale e impegno civile. O, se vogliamo, tra fede e impegno politico. Oggi, forse favirito dal processo di secolarizzazione in atto, il ripiegamento verso una visione una fede più personale e distaccata dalla realtà pare più consistente.
Pacchioni
«Credo che non si possa dire che i gruppi attuali abbiano una impostazione esclusivamente spirituale, è riduttivo. Bisognerebbe prima conoscerli e comprendere che le esperienze spirituali vengono portate nella vita di tutti i giorni, nella famiglia, nel lavoro, nelle relazioni, anche se è indubbio che sia i gruppi diocesani sia le parrocchie stanno vivendo un periodo di crisi numerica, di abbandono come del resto tutta la Chiesa. Ma è altrettanto vero che viviamo un passaggio storico e non possiamo pensare una realtà ecclesiale come era quella di 20 o 30 anni fa e che ha portato i suoi grandi frutti. Ora, ci viene chiesto di ascoltare Dio attraverso l’esperienza dei fratelli che deve essere interiorizzata».
Monicchi
«Già nella relazione di sintesi si parla di queste aggregazioni laicali come arricchimento per la Chiesa, seppure con il rischio di una chiusura che potrà essere superata nell’ascolto reciproco. Questi gruppi sono luoghi importanti, dove le persone cercano una risposta alle loro personali problematiche, luoghi che formano e aprono a una dimensione personale di crescita. Bisogna saper distinguere tra questo dato indispensabile e quello di ritenere invece che sia il tutto. Questa chiusura potrebbe essere un pericolo, tuttavia esso non diminuisce l’importanza della presenza di questi gruppi».
Don Milli
«La bellezza della fede è proprio questa libertà che ci viene data, così come la Bibbia è frutto di ispirazione e non di dettatura. Ciò che lo Spirito ha messo nel cuore di ognuno ha preso la forma anche scritta, e come sono stati messi insieme i 72 libri della Bibbia, ora sta a noi portare avanti questo compito. Bisogna tener conto dei carismi di ognuno: c’è chi è più portato alla preghiera e chi invece alla carità, chi parte da un aspetto, chi da un altro; dobbiamo superare questa difficoltà, unendo questi carismi in una visione d’insieme».
Altrapagina. Papa Francesco ha messo più volte in guardia contro il clericalismo, ovvero al potere dei chierici per cui solo a loro è data la comprensione della Parola, mentre gli altri devono ascoltare e obbedire.
Pacchioni
«Noi possiamo convenire sul laicato corresponsabile, ma esso non può sostituire il prete. Credo che occorra fare una riflessione sulla figura del prete: il laico è colui che porta il messaggio cristiano nella vita di tutti i giorni e annuncia l’incontro che ha fatto col Signore nei luoghi di vita. La Chiesa in questo momento ha bisogno di questo più che del laico responsabile della parrocchia, seppure possano esserci dei laici chiamati alla corresponsabilità di un servizio all’interno della parrocchia. La Chiesa deve sforzarsi di formare buoni laici e bisognerebbe chiederci se poi i laici vogliano farsi carico della corresponsabilità, altrimenti rischiamo di costruire un organigramma in cui mancano le persone».
Monicchi
«Il discorso è molto complesso, e se poi dovessimo affrontarlo anche al femminile, lo è ancora di più.
Le difficoltà che vedo adesso sono di due tipi; il fatto che la Chiesa a volte si presenta come una istituzione abbastanza rigida e gerarchica, facendo riferimento alla sua struttura creata nel tempo dove i laici non hanno molto spazio, e poi c’è un problema anche sul versante dei laici, i quali hanno una scarsa consapevolezza di sé e di quelle che sono le finalità della Chiesa. Per cui le esigenze che il laico presenta sono esigenze pretestuose o esigenze che non tengono minimamente conto del cammino che l’intera Chiesa dovrebbe fare. Manca anche la preparazione laicale per assumere dei ruoli di corresponsabilità che non è riferita alla guida di una parrocchia; per corresponsabilità intendo la capacità di entrare negli organismi di Chiesa al fine di poter orientare la pastorale a una apertura al mondo e allo stesso tempo a vivere una profonda esperienza di fede».
Don Milli
«Nella sintesi delle schede si parla di parrocchia e la maggior parte della gente che ha partecipato ai gruppi sinodali è laica, invece quando si parla nello specifico di parrocchia, la figura preminente e centrale è il parroco. Il prete è la chiave di tutto, quindi il laicato ha poco spazio nella corresponsabilità. Il prete viene visto come colui che fornisce dei servizi. Nella mia esperienza capita di avere figure che sono in grado di camminare da sole, di guidare settori della parrocchia, della comunità in maniera completamente autonoma, però quando l’impegno di servizio diventa gravoso, allora si tira il freno a mano e manca il coraggio di portare fino in fondo il carico che si è preso».
Altrapagina. Si è parlato molto della diocesi e dei suoi confini in relazione alla imminente sostituzione del Vecovo per fine mandato. È stato chiesto di estendere la Diocesi di Città di Castello guardando verso Sansepolcro a cui ci accomuna una prossimità geografica, culturale e anche religiosa, ma il Vescovo Fontana di Arezzo ha opposto un rifiuto piuttosto netto.
Monicchi
«Io personalmente non mi pronuncio perché sono una firmataria del comunicato che è stato inviato alla stampa e che ha fatto tale richiesta. Ho anche aggiunto delle considerazioni nel giornale La Voce su quello che penso della Diocesi e della figura del Vescovo e come queste istituzioni sono evolute nella Storia della Chiesa in generale.
Ho letto sia l’intervista fatta a Monsignor Fontana, che mi è sembrata scarsa di contenuti, sia altri scritti in riferimento al ruolo dei Vescovi nella nostra zona, alcuni dei quali prevedono che il Vescovo di Gubbio diventi nell’arco di alcuni anni Arcivescovo di Perugia: ritengo tali valutazioni inconsistenti».
Don Milli
«Io penso che sulle nomine sia stato fatto molto chiacchiericcio e il Vescovo Fontana ha assunto una posizione ecclesialmente discutibile, soprattutto se si tiene conto che viene da un Vescovo dimissionario. Voglio portare questo esempio: la scorsa settimana quattro sacerdoti della nostra diocesi erano impegnati a Sansepolcro per messe, benedizioni delle famiglie e funerali, e i sacerdoti di Sansepolcro riconoscono questo stato di fatto. Ci sono situazioni in cui per confini territoriali i sacerdoti hanno la parrocchia in Umbria e magari la cucina in Toscana. Dunque sarebbe da rivedere questa situazione che ha delle assurdità».
Pacchioni
«La questione non è di carattere amministrativo o burocratico perché crediamo che la Chiesa è fatta dallo Spirito Santo, e non c’è bisogno di inseguire in un vespaio di discorsi che non portano a nulla. Io credo che noi veniamo invitati in questa fase di cambio del Vescovo soprattutto a una grande azione di preghiera perché la comunità cristiana possa accogliere il pastore che il Papa ci manderà e sia pronta a riceverlo e a sostenerlo». ◘
Redazione Altrapagina