Giovedì, 28 Marzo 2024

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Al popolo russo.

Lettere in redazione.

silvia romano2

Non avrei mai immaginato di assistere a tragiche repliche di adunate – stavolta a colori – di un popolo osannante verso l’oligarca che magnifica l’invasione unilaterale di una nazione vicina.

Otto decadi fa sono stati i vostri padri a resistere in modo sovrumano all’invasore malato di onnipotenza, contribuendo in modo decisivo a sventare il ritorno alla barbarie. Purtroppo, siete stati iniquamente ripagati: noi – parte perdente – abbiamo scoperto diritti, libertà, pace ininterrotta; voi – vincitori – siete rimasti soggiogati agli umori dei vari autarchi.

Ho sempre sperato che anche per voi si fosse aperta la prospettiva di una vera democrazia. Sembrava che l’obiettivo fosse a portata di mano dopo la caduta del muro di Berlino, quando il nostro vocabolario si arricchì delle parole glasnost e perestroika. Era davvero l’inizio dello smembramento dell’Unione sovietica, ma con semi di rivincita celati sotto le ceneri, che sono germinati in più occasioni: oggi, tragicamente, contro l’Ucraina sono riesplosi in manie imperialiste, non diverse da quelle del nemico nazista di ieri.

Purtroppo, nello stato di guerra, con la fine dello Stato di diritto scompare la ragione e si annebbiano i pensieri e le responsabilità di ciascuno: me ne sento vittima anch’io, quando mi sorprendo, con angoscia, a cadere nell'assurdità di considerare il numero dei vostri soldati morti funzionale alla fine di una guerra orrenda. Con questa consapevolezza e per essere connaturato allo Stato di diritto, non oso giudicare quello che appare, da lontano. Emerge solo la certezza di una imprevista prospettiva per l'umanità: fino a un mese fa gli arsenali nucleari rispondevano all'obiettivo – di per sé terribile – di dissuasione reciproca su cui basare la pace; la guerra in corso ha aperto un nuovo scenario, in cui una potenza nucleare ha aggredito una nazione e ha posto il resto del mondo di fronte al dilemma tremendo: abbandonare al suo destino la parte attaccata o intervenire per difenderla, con il rischio dell’ecatombe di un conflitto nucleare. Il delicatissimo equilibrio finora espresso dalle democrazie occidentali è un forte segno di saggezza responsabile, confermata dallo schiacciante giudizio dell’Onu.

L’interpretazione dell’esultanza dei vostri giovani allo stadio di fronte alla tragedia rappresenta la chiave per prospettare l’evoluzione degli eventi. Non posso pensare che abbiano esultato di fronte a città rase al suolo; a persone, morte e vive, sotto le macerie; a famiglie isolate nelle case; a moltitudini costrette a esodi in condizioni disumane. Non è pensabile che un popolo con la vostra storia e cultura sia connivente con una guerra elusiva del diritto internazionale, né indifferente ai propri figli immolati al fronte. Voglio sperare che l’entusiasmo sugli spalti, se spontaneo, sia la conseguenza della cappa che vieta le parole, impedisce la conoscenza, opprime la ragione. Non può essere condivisa la giustificazione della guerra come prevenzione del pericolo di un attacco da parte dell’Occidente, che è smentito nei fatti dalla mancanza di un contrattacco all’invasione. Sono certo che la vostra apparente passività, salvo circoscritte coraggiose eccezioni, sia determinata dalla carente conoscenza della realtà e dal comprensibile terrore per la repressione della dissidenza.

Per la seconda volta il vostro Paese ha cambiato il percorso della Storia: la prima, evitando il baratro per l'umanità; oggi, per riesumarne la probabilità. Il disastro è ormai compiuto. Se è stato il vostro tiranno a sfidare in modo spregiudicato il resto del mondo, la speranza di un ragionevole ritorno ad una convivenza pacifica dipende dalla vostra capacità di percepire la realtà dietro la propaganda e censura. Dalla consapevolezza nascerà la forza di reagire: l’arroganza di un’oligarchia non potrà essere condivisa da un popolo cosciente. E di fronte all’abominio delle fosse comuni, delle esecuzioni sommarie, degli stupri, delle torture, solo sul popolo ricade l’onere del riscatto – se possibile – del proprio onore.

di Mario Tosti


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