Mercoledì, 04 Dicembre 2024

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Fantasmi

Cronache d'epoca.

silvia romano2

I protagonisti di questa “Cronaca d’epoca” difficilmente troveranno accoglienza tra le pagine di Storia patria. Sono persone semplici che devono fare tutti i giorni i conti con la cruda realtà della vita, che è quella di mettere assieme il pranzo con la cena: riuscirci è già un bel traguardo. Non appariranno mai nei libri di Storia con la “esse” maiuscola, ma, perdinci!

Nei periodici che si stampavano a Città di Castello, tra gli sgoccioli dell’Ottocento e gli albori del Novecento, essi erano di casa. Sguazzavano in quelle pagine come il vino nella botte, avrebbe detto Gostaccio picaresco, personaggio tifernate conosciuto in tutto l’Alto Tevere come il “terrore dei pollai”. Visse nella prima metà del secolo scorso in quel di Riosecco, dove ebbe i natali.

Ma cosa ci faceva questa gente semplice in quelle pagine? Un passo indietro (copyright di Carolina Invernizio). Al tempo di questa cronaca, Città di Castello era all’interno delle mura rinascimentali, che la dividevano dall’immensa campagna. Una città, la vecchia Tiferno, laggiù in fondo al Rione Prato, a ridosso delle mura che guardano i Frontoni, “ci se vede e ci se sente”. Insomma, ci sono i fantasmi.

Scrive lo storico Vittorio Corbucci che «in questo palazzo, nel Rinascimento principesca dimora di Alessandro Vitelli, egli vi accolse in seconde nozze la sposa Angela Paola dell’antica e potente famiglia dei conti Rossi di San Secondo Parmense, che era rimasta vedova di Vitellozzo Vitelli». Con il passare del tempo il palazzo è abbandonato e lo rimarrà, più o meno, per secoli. Così lo trova sul finire dell’Ottocento Giovanni Magherini Graziani, il quale scrive ne “L’arte a Città di Castello”: «Trovai il palazzo nel più totale abbandono; dalle finestre sconnesse fischiava con gemiti sinistri il vento, le mura delle sale sudice e screpolate, indifese dalle intemperie, quello squallore e desolazione ti stringono il cuore e ti invitano a meditare sulla voracità del tempo che lento, ma senza tregua, accomuna rovine di solidi monumenti e di famiglie che un dì furono potentissime». Quello che non ha scritto Magherini lo bisbigliano i tifernati, risvegliando antiche paure. «In quelle sale si annidavano le anime maledette di chi frequentava il palazzo nei tempi antichi». E non erano pochi quelli che giuravano sulla propria testa e quella dei figli «di aver visto agitarsi e poi uscire da quelle occhiaie nere e vuote che una volta erano finestre, spettrali, evanescenti giovani che, in mesta processione, andavano verso quella “volta” dove li stava attendendo lo spettro della “Sora Laura”». I giornali, pur deprecando queste dicerie, le pubblicavano: «Fantasmi di donnicciole e poveracci che passano da bocca a bocca, fandonie per gente sprovveduta, soprattutto i prataioli, cheèi fantasmi albergano nelle loro teste…».

Già, nelle loro teste come racconta in proposito questa rasserenante cronaca di quei giorni, che pone fine al defilé di fantasmi: «Ormai non se ne può più di questi fantasmi che nottetempo si aggirano giù alla “Sora Laura”.

Ecco cosa occorse a Rossi, il sellaio, sere fa, anche egli abitante non distante da quel palazzo. Erano appena suonate le due; veniva da Corso Vittorio Emanuele e non era ancora giunto alla piazzetta dell’Erba (oggi Piazza del Garigliano), che con passo affrettato infila via dei Cavalieri; sotto l’impressione dei racconti già pensava con raccapriccio al fantasma. Giunto allo sbocco, la prima cosa fu di guardare la porta di casa sua. Misericordia! Un coso bianco è appiccicato alla finestra soprastante. Il sangue gli si gela… È lui che si arrampica… Il fantasma… L’ha riconosciuto, e per poco non cade morto. Corre da un suo amico che abita nella vicina via Nova (oggi via della Cannoniera) e picchia replicati colpi alla porta. L’amico si è svegliato: «Che succede!?». «Corri, c’è il fantasma, l’ho veduto: prendi il fucile». L’amico indossa i calzoni; invece del fucile prende un bastone; giungono sul luogo, e dice: «Guarda, c’è ancora!», osserva tutto tremante il sellaio. L’amico si accosta e dà in una clamorosa risata, e rivolto a Rossi, nascosto all’angolo del vicolo, gli mostra, indovinate cosa? Una camicia di donna appesa per le maniche a una cordicella della finestra! Figuratevi il naso e la contentezza mista a sorpresa del Rossi, il sellaio del Prato. A domandarglielo, nega, ma quel che è certo è che, in seguito all’accaduto, e sono passati una decina di giorni, egli soffre ancora di diarrea».

Certo sono cronachette insignificanti, che volete farci! Città di Castello era anche questo. Comunque nel’immane sforzo – per noi – di elevare il contenuto di questi miserandi resoconti, non ci resta che augurare a tutti “buona Pasqua”, “buon 25 Aprile” e “buon Primo Maggio”. Va da sé che la “Sora Laura” è viva e lotta con noi. ◘

di Dino Marinelli


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