RUBRICA.
Dentro l’eco dei media che risuona, accompagna, inonda ogni momento delle nostre giornate, siamo passati da un giorno all’altro dalla pandemia al conflitto armato in Ucraina, che ha sconvolto tutti i palinsesti mediatici, gettandoci in faccia la più grande tragedia per gli esseri umani di ogni tempo: la guerra. Questa parola antica che sembrava divenuta anacronistica, un retaggio del secolo scorso oppure una pratica arcaica per Paesi sottosviluppati, è tornata all’improvviso a riempire tutti gli spazi della cronaca; una narrazione non stop: inviati, analisti, testimoni, un profluvio di immagini, una sovrabbondanza di documenti che stordisce, infiamma oppure anestetizza e probabilmente disinforma i più.
E insieme alla guerra, nella luce accecante dei media c’è... il corpo delle donne. Mentre in questi scenari dolorosissimi l’immaginario collettivo colloca gli uomini per lo più - armi in pugno - nei territori martoriati, oppure, per contro, nelle aule della politica in giacca e cravatta a discutere e a cercare faticosissimi scenari di pace, le donne sono presenti in tante situazioni: donne che fuggono, che si nascondono, che curano, che accolgono, che continuano a lavorare... e perfino donne che impugnano i fucili.
Nonostante i grandi cambiamenti dei ruoli di genere degli ultimi decenni, siamo ancora una società patriarcale, perciò il corpo delle donne rimane una risorsa da sfruttare e, come tale, non esce mai dal faro della comunicazione pubblica. Che sia un corpo seminudo, il classico corpo sexy utilizzato dalla pubblicità, in grado di persuadere lo spettatore ad acquistare un’auto o una bottiglia di whisky, un jeans o una valigia; che sia un corpo massacrato dalla violenza di un compagno nevrotico; che sia un corpo stilizzato, quasi trasparente… elegante, irraggiungibile... rivestito dei migliori abiti d’alta moda; o il corpo di una donna uccisa sotto il crollo di un palazzo in una strada di Kiev o quello con gli occhi terrorizzati di una bimba in fuga dalle bombe, la nostra civiltà non può fare a meno del corpo delle donne. È un veicolo di storie, di significati, di contenuti, di sentimenti, di emozioni e di desideri troppo “attraente” perché il quotidiano o il settimanale o il canale televisivo oppure qualsiasi social network se lo lasci sfuggire.
Eppure il messaggio che arriva è fin troppo chiaro: le donne vogliono essere di più di un corpo da mostrare o da raccontare… pur nella bellezza e nella profondità dei reportage che le riguardano e nell’attenzione di chi scrive, fotografa, racconta… Sempre di più le donne vogliono essere persone “intere”: con uno spessore di vita, con la loro intelligenza, con la sensibilità, con la cultura, con le esperienze di gioia o di dolore. Le donne vogliono essere guardate al di là del loro corpo, insieme al loro corpo. La guerra, nella sua drammaticità, nella sua logica spietata di vita o di morte, svela gli “incanti” della civiltà, le contraddizioni e le ipocrisie, anche per il grande tema dell’emancipazione femminile: un altro passo di una lunga Storia. ◘
di Daniela Mariotti