Le spese militari aumentano

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Intervista a MAURIZIO SIMONCELLI, Vicepresidente e cofondatore dell'Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo.

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La guerra in Ucraina ha provocato una spinta ulteriore al processo di riarmo in atto da tempo in tutto il mondo. Ne parliamo col professor Maurizio Simoncelli esperto in materia in qualità Vicepresidnte dell’Istituto di Ricerche internazionali Archivio Disarmo (Iriad).

La gurra in Ucraina sta facendo un gran servizio ai venditori di armi. Dopo la caduta del Muro di Berlino sembrava essersi aperto un processo di pace. Come si spiega questa ripresa della corsa generalizzata al riarmo?

«Le spese militari mondiali sono andate costantemente crescendo, dopo una breve diminuzione alla fine della Guerra fredda: 1.468 miliardi di dollari nel 1988, 1.754 nel 2009, 1.960 nel 2020. Un aumento significativo e costante delle spese militari, che ha comportato anche un incremento dei relativi commerci di armi e di munizioni, destinate spesso a incrementare le decine di guerre e di crisi in atto nel mondo.

Le esportazioni mondiali di armamenti sono passate dai 30,4 miliardi di dollari del 1990 ai 17,8 del 2002, per riprendere poi a crescere sino ai 30 del 2011, arrivando ai 31,8 del 2017 per poi rallentare nell’ultimo quadriennio, in cui è stata esportata una media di 25 miliardi di dollari in armi.

Quel che preoccupa di questo trend è il fatto che, a fronte di una riduzione globale tra il 2012–16 e il 2017–21, nell’ultimo quinquennio vi sia un incremento verso Europa (+19%), Asia orientale (+20%) e Oceania (+59%), secondo i dati recentissimi dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI). Il Medio Oriente ha importato il 2,8% di armi in più nel 2017-21 rispetto al 2012-2016. Inoltre va ricordato che già vi era stato un aumento dell’86% delle importazioni di armi nella regione tra il 2007-11 e il 2012-16. Le aziende del settore hanno svolto una potente azione di lobbying nei confronti dei vari Governi, riuscendo a condizionare le scelte di Parlamenti e Governi, nonché dell’Ue (essendo presenti anche nelle Commissioni di esperti auditi dai parlamentari), come abbiamo documentato anche noi con alcuni studi apparsi nella nostra rivista online “Iriad Review. Studi sulla pace e sui conflitti”».

Che ruolo ha avuto l’espansione della Nato ai Paesi dell’Europa dell’est ex sovietici per la ripresa della corsa agli armamenti?

«Basta guardare le carte geografiche relative alla Nato come era durante la Guerra fredda e alla sua espansione per capire l’allargamento a tenaglia intorno alla Russia, che vive questa sindrome di accerchiamento. Dato che la Nato è un’alleanza militare, questo ha provocato un peggioramento nelle relazioni internazionali, al punto che Putin, nostalgico della superpotenza sovietica, si è impegnato da anni nella ristrutturazione e nel potenziamento delle forze armate russe, che ha già utilizzato in vari conflitti, dalla Cecenia alla Georgia alla Siria. Non dimentichiamo che anche la Nato è intervenuta militarmente nel conflitto nell’ex-Jugoslavia, in Libia e nell’Afghanistan, territori di Paesi non membri dell’Alleanza atlantica. E tutte queste missioni di guerra sono avvenute nell’emarginazione totale delle Nazioni Unite».

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Esiste un rischio reale di conflitto nucleare, ovvero il passaggio da una guerra convenzionale a un conflitto atomico? E quali sarebbero le conseguenze?

«L’ordine di allerta nucleare dato da Putin è un pessimo segnale, anche perché negli ultimi anni la realizzazione di armi nucleari di teatro (o corto raggio), attuata a est come a ovest, ipotizza il loro uso su aree ristrette, restringendo la linea di demarcazione tra guerra convenzionale e guerra nucleare, facilitando il passaggio da un livello all’altro. La Russia dispone di 1.912 armi nucleari non strategiche e difensive (a fronte di 2.565 testate strategiche), mentre gli Usa ne hanno 230 (a fronte di 3.570 testate strategiche). Le 13.000 testate nucleari, per lo più in mano statunitense e russa, sono in grado di distruggere il nostro pianeta con una forza devastante e con conseguenze solo parzialmente immaginabili. È evidente un rischio di escalation incontrollata verso la guerra nucleare totale, cioè il suicidio dell’umanità».

L’Occidente esporta armi in tutto il mondo, soprattutto in Africa e nei Paesi arabi. I principali mediatori impegnati a favorire un tavolo di pacificazione tra Russia e Ucraina sono i maggiori esportatori di armi: non è un cortocircuito letale da cui è difficile uscire?

«Nell’ultimo decennio i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu (Usa, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna), insieme a Germania, Italia, Israele, Spagna e Olanda, sono stati i maggiori esportatori di armi nel mondo, che vanno soprattutto verso le aree più calde, dove ci sono tensioni o conflitti in atto. Il ruolo di mediatore presuppone un’altra prospettiva politica: non è casuale che le guerre continuino da anni e che l’azione dell’Onu, istituzione super partes, sia sistematicamente bloccata a causa dei veti reciproci ed emarginata per avere le mani libere per azioni come quelle avvenute in Georgia o in Libia, per citarne solo due».

Questa guerra sta favorendo una nuova corsa al riarmo. La decisione di portare al 2% del Pil le spese militari va in questa direzione, anche in Italia, come abbiamo visto col voto in Parlamento. Cosa ne pensa?

le spese militari aumentano altrapagina aprile 2022 4«A fronte di minacce mondiali ben più gravi come i cambiamenti climatici o i fenomeni demografici come le migrazioni, sotto la spinta della guerra scatenata da Putin contro l’Ucraina, si risponde con una politica di riarmo diffuso, che comporterà ovviamente un notevole aumento della spesa militare realizzato a danno di politiche sociali, educative e di transizione climatica. Decidendo in Italia di arrivare a 38 miliardi di euro per la difesa (2% del Pil), si decide di allocare ben nuovi 13 miliardi in più rispetto all’attuale bilancio delle Forze armate. Subiremo tutti un arretramento pesante anche nelle relazioni internazionali, dove prevarrà la logica della forza al posto della ricerca della cooperazione. D’altronde, come dicevamo prima, le spese militari sono andate continuamente crescendo e ora vi è un’ulteriore accelerazione in tal senso».

La Germania ha deciso di riarmarsi; il Giappone ha superato lo shock di Hiroshima e punta al riarmo. Tali fatti, tra i politicamente più rilevanti accaduti in questi ultimi tempi, non lasciano margini di dubbio su quale futuro si stia preparando.

«L’aumento delle spese militari, nonché le ricerche verso tecnologie e mezzi sempre più avanzati (droni, killer robot, missili ipersonici ecc.) ci segnalavano da tempo un deterioramento complessivo del quadro internazionale. La ricerca della supremazia militare è un elemento destabilizzante che pone Stati e alleanze in una competizione permanente che prima o poi non può che sfociare in conflitti armati di varia intensità. Le grida di allarme lanciate dalle persone consce di questi pericoli sono state volutamente ignorate e ora ci troviamo sull’orlo di una guerra mondiale. Ma l’unica risposta che i Governi sanno dare è quella di una nuova corsa agli armamenti e di nuove tensioni, che poi avrà come tappa successiva quella del confronto con Pechino (Hong Kong, Taipei, Mar cinese meridionale), già segnalata dall’incremento delle spese militari e delle forniture di armamenti proprio nell’area asiatica e dell’Oceania». ◘

di Antonio Guerrini