Intervista a Alex Zanotelli, giornalista, inviato di guerra.
Alex Zanotelli, missionario comboniano e già direttore di Nigrizia, è una delle voci più autorevoli del mondo cattolico, impegnato a disarmare la cultura in cui la società sta precipitando.
Come giudica il ritorno della guerra nell’epoca contemporanea? È il tramonto del diritto internazionale?
«Penso che questa prospettiva espressa nella domanda sia una nostra reazione, da europei, perché per la seconda volta, dopo quella in ex Jugoslavia, abbiamo una guerra in Europa. Il problema non è chiedersi perché si stia riaffacciando la guerra, la mia reazione è “quando mai non c’è stata guerra in questo secolo!”. Siamo passati da una guerra all’altra. Pensiamo alla ex Jugoslavia, ma anche alla terribile guerra che abbiamo portato in Iraq, che tra l’altro è stata la madre dell’Isis. La guerra in Siria, in Afghanistan e via elencando. Ora reagiamo così perché la guerra si è avvicinata, ma è stata una costante.
Quando ero studente negli Stati Uniti, ricordo che Eisenhower, passando il potere a Kennedy, nel suo ultimo discorso disse: “popolo americano, penso che la nostra democrazia sia abbastanza solida, non vedo pericoli provenienti dall’esterno [questo nonostante ci fosse un forte attrito con l’Urss, N.d.A.], ma il pericolo potrebbe provenire dall’interno. Potrebbe venire dal complesso militare-industriale del nostro Paese”. Ecco, noi dobbiamo comprendere che chi governa oggi gli Stati Uniti è il complesso militare-industriale e sta forzando i Governi verso determinate scelte. Se si producono così tante armi, a un certo punto bisogna usarle. La guerra non irrompe all’improvviso, ha una sua evoluzione, ma la sentiamo più vicina e questo ci colpisce. La guerra in Yemen va avanti da tempo e l’Onu stessa l’ha definita il più grave disastro umanitario; c’è guerra in Etiopia, in sud Sudan, in Mali, ovunque».
Lei propone una nuova cultura della pace. In quali termini e in quale modo?
«Nel libro che ho elaborato durante la pandemia, Lettera alla tribù bianca, ho scritto che l’unico modo che intravedo per uscirne è quello che esprime papa Francesco in Fratelli tutti. Dobbiamo uscire da una società di soci a una comunità di fratelli e perché questo avvenga dobbiamo compiere dei passi enormi, soprattutto noi, la “tribù bianca”. Abbiamo conquistato il mondo per cinquecento anni, avevamo presupposti chiari: civiltà, cultura, religione e questo costituisce il nostro orgoglio. Dobbiamo uscire da questo bozzolo prima possibile, per incontrare l’altro. La bolla coloniale, la definì Pierre Claverie, vescovo di Orano, che è stato ucciso. Per farlo dobbiamo togliere di mezzo tutti questi armamenti, che stanno crescendo a dismisura. Il disarmo è necessario, altrimenti la pace sarà impossibile».
Stiamo assistendo a un rigurgito di violenza nelle società contemporanee. Quali sono le cause?
«Vivo al rione Sanità di Napoli ed è incredibile come si possa toccare con mano questo rigurgito di violenza. Qui ci sono ragazzini capaci di tutto. Penso che la prima cosa sia che la società occidentale abbia perso i valori, stanno crollando tutte le istituzioni che tenevano insieme la società: la scuola, la Chiesa, le famiglie. Le famiglie napoletane avevano dei bellissimi valori familiari, ma i trent’anni di televisioni berlusconiane hanno distrutto tutto. Inevitabilmente questi ragazzini che crescono senza la scuola sono un disastro. E la Chiesa non c’è. Chiaramente si arriva alla violenza».
Il pacifismo sembra tramontato nell’esplosione della guerra in Ucraina. È un sintomo di impotenza oppure la necessità di ripensare a fondo l’atteggiamento non violento?
«La non violenza in quanto tale non va ripensata, ma applicata, come fece Gandhi. Per esempio, nella guerra attuale era evidente che l’Ucraina non poteva resistere militarmente a un esercito potente come quello russo. Non era possibile andare in guerra con quei toni nazionalistici. Nella seconda guerra mondiale ci sono due esempi che fanno impressione. La Danimarca, quando è stata invasa dai nazisti, sapendo di non poter resistere, si è arresa, ma ha attuato una resistenza dal basso. Il re di Danimarca portava una stella di David sul petto e i nazisti non potevano fargli nulla. Riuscì in una notte a portare in Svezia tutti gli ebrei. E poi la Finlandia, che sapeva di non poter resistere, ma si era preparata, ha cambiato tutti i nomi delle vie e i nazisti si sono impantanati. Bisogna trovare altri metodi di lotta non violenta. Quello che diceva Gesù quando avvertiva che non era possibile andare a uno scontro con Roma. Non fu ascoltato e sappiamo com’è andata.
Rispetto alle grandi reazioni che abbiamo avuto contro le guerre in Iraq o in Afghanistan, oggi se ne sono verificate di meno. In Italia ci sono tanti gruppi pacifisti, ma quello che osservo è che ognuno lavora per sé. Ho invocato più volte un’unione, ma non è stata accolta. Questa è una delle tragedie più grandi di questa società: la frammentazione. La questione della pace deve diventare collettiva, popolare. L’insegnamento straordinario di papa Francesco, che è arrivato a scalzare 1700 anni di dottrina cattolica della “guerra giusta”, non è mai passato nelle comunità cristiane. Il silenzio dei vescovi fa paura».
Quale ruolo può svolgere l’opinione pubblica internazionale di fronte all’esplosione della violenza?
«Non so quanto conti l’opinione pubblica internazionale in questi momenti. Quando si sono scatenati questi eventi non c’è stata una reazione decisa da parte delle popolazioni. Inizialmente ci sono state delle proteste, ma poi queste guerre sono andate avanti molto a lungo. Il movimento per la pace deve diventare popolare, come chiede Francesco, ma oggi siamo lontanissimi da questo obiettivo. L’opinione internazionale funziona a intermittenza. Ci sono interessi che la sovrastano».
Tutti i Paesi corrono verso il riarmo, adottando armi sempre più sofisticate. Secondo lei è una battaglia perduta in partenza?
«No, assolutamente. Sono rimasto di stucco di fronte alla decisione italiana di incrementare gli armamenti fino al 2% del Pil. Sono tentato di scrivere una lettera ai Deputati per protestare. Non si sono investiti soldi negli ospedali, causando la morte di migliaia di persone; la sanità pubblica e la scuola sono state penalizzate. Negli ultimi 11 anni l’Italia ha sottratto alla sanità pubblica 37 miliardi di euro. Mi sorprende anche la risoluzione della Germania di investire 100 miliardi in armamenti. La nostra è una follia collettiva. Questo mette in discussione le nostre comunità cristiane, che dovrebbero reagire, se pensiamo che Gesù ha rifiutato di farsi leader delle rivolte ebraiche. Questo fa male». ◘
di Achille Rossi