E sia poesia a cura di GIO2. (Giorgio Bolletta e Giorgio Filippi)
In un tempo dominato dagli effetti disastrosi della pandemia da Coronavirus e dall’angoscia per lo spettacolo che sulla guerra tra la Russia e l’Ucraina i mezzi di comunicazione di massa organizzano a tutte le ore del giorno e della notte, può sembrare riduttivo e irresponsabile parlare d’altro, scrivere di cultura, discutere di scuola e tirare in ballo la letteratura e la poesia. Eppure, se ci avviciniamo ai testi degli scrittori e dei poeti e li ascoltiamo, forse impariamo ad ascoltare e capire quanti parlano di interessi territoriali, di confronti internazionali, di confini tra stati, di alleanze di governi, di guerre e distruzioni di città, di stragi incomprensibili e disumane.
C’è un testo di Carlo Bo (Letteratura come vita), nato come relazione al V Congresso degli scrittori cattolici (svoltosi a Firenze l’11 settembre 1938), e pubblicato su “Il Frontespizio” di Piero Bargellini nel numero di settembre dello stesso anno, che merita di essere riletto e discusso. Bo aveva allora 27 anni. Si era laureato (1934) in Lingua e Letteratura Francese a Firenze, si era specializzato presso l’Università Cattolica di Milano e aveva accettato (1938) l’incarico di docente di Lingua e Letteratura Francese presso l’Università di Urbino (Facoltà di Magistero) della quale è stato ininterrottamente, per 53 anni, “magnifico rettore” (1957-2001).
Non importa che tu sia
uomo o donna,
vecchio o fanciullo,
operaio o contadino,
soldato o studente o commerciante;
non importa quale sia
il tuo credo politico
o quello religioso;
se ti chiedono qual è la cosa
più importante per l’umanità
rispondi
prima
dopo
sempre:
LA PACE
Questo, naturalmente,
se non sei legato
a qualche banda di reazionari
o pazzo.
Sì,
tu!
Sì, io,voi, lu