RUBRICA. Con gli occhi di Alice.
Le notizie e ancora di più le immagini che ci arrivano ogni giorno dall’Ucraina ci inducono a fare i conti con il tema della morte in un modo forse inedito per noi occidentali. Di morti ammazzati in condizioni di ingiustizia politica, sociale ed economica sono piene le cronache da sempre; ma avevamo collocato nel nostro immaginario collettivo un po’ più lontano nel tempo e nello spazio i massacri quotidiani, gli stupri e le torture, le fosse comuni, di cui ora vediamo da vicino la realtà inequivocabile. Le migliaia di corpi di civili uccisi nelle loro case, in fila a fare la spesa, con le chiavi in mano, nei cortili e lungo i marciapiedi… la presenza di bambini fra i cadaveri… il dolore e l’angoscia inimmaginabili, la stessa incombenza della guerra, divenuta all’improvviso una possibilità non più remota e innominabile, risveglia in tutti noi il fantasma di un morire straziante. Risuona come una premonizione metastorica “la sventura” che Simone Weil ha attraversato nella sua vita, prima ancora che nel suo pensiero. È la sofferenza abissale che può sovvertire completamente la condizione esistenziale di ciascun essere umano.
Collocare tutte queste disgrazie accanto all’edonismo dominante – “il godimento” di cui ci parla Massimo Recalcati, con riferimento alla brama ossessiva del piacere, che appartiene alla nostra cultura – non è facile. L’effetto è straniante: un mix di sorrisi frivoli e di tragedie sovrumane, del resto già presente da tempo in Tv, da quando ci passa davanti la pubblicità di “Save the children” con il bambino colpito da grave malnutrizione e subito dopo la ragazza carina e snella grazie ai grissini light. In altre parole, mentre i ragazzi dell’Europa dell’est mettono in gioco la propria vita per la libertà del loro Paese, i coetanei dell’Europa centrale e mediterranea mettono in banca i risparmi per pagarsi la chirurgia estetica, perché la perfezione del corpo qui è un diritto.
Tutto ciò che appartiene all’umano nasce e muore. Potrebbe morire allora anche il mito del benessere illimitato, il mito più affascinante e seduttivo della cultura di massa degli ultimi decenni, costruito sulla rimozione della morte? Potrebbe risuonare vuoto l’imperativo categorico dell’“essere felici” come conseguenza del consumismo sfrenato? E quel fitness senza limiti, l’essere ammirati e in forma a ogni età? Perché noi a 60 anni siamo ancora giovani!
L’“economia di guerra” alle porte, l’inflazione già in atto, le previsioni catastrofiche sulla prossima produzione di grano e cereali provenienti proprio dalla Ucraina potrebbero mutare la gerarchia dei valori sociali; la sussistenza alimentare, la casa, il lavoro potrebbero diventare priorità esclusive; la solidarietà umana fra parenti e amici per il sostegno reciproco una necessità concreta. Dei glutei scolpiti, delle crocchette prelibate per i nostri gatti, delle vacanze a Ibiza, forse faremo volentieri a meno. ◘
A cura di Daniela Mariotti