Guerra: l'orco che divora i bambini

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Dossier. La tragedia dei bambini.

silvia romano2

«Una mattina mi son svegliato … e ho trovato l’invasor». Bella ciao è il canto di liberazione più bello che sia mai stato scritto. Esso contiene tre ingredienti: l’invasore, la resistenza, la morte per la libertà. Gli stessi che l’Ucraina sta sperimentando da oltre due mesi. Da quel 24 febbraio, quando i bombardamenti dell’invasore russo li hanno svegliati nel cuore della notte (le guerre moderne iniziano sempre di notte) e li hanno costretti a radunare le poche cose necessarie, a svegliare i loro figli, a spiegargli che dovevano andare via, che dovevano abbandonare la loro casa, che non sarebbero più andati nella loro scuola, che non avrebbero più rivisto i loro amici, che non sarebbero più scesi nel cortile di casa per fare i loro giochi e che dovevano andare in un’altra terra. Una terra sconosciuta per oltre 5 milioni di esuli ucraini, soprattutto donne e bambini.

Il loro è il viaggio della disperazione, la via della fuga dalla guerra. Una fuga fatta con ogni mezzo: a piedi, in macchina, con i treni. Quei treni affollati, simili a quelli della Shoah, dove le persone venivano fatte salire a forza e separate: le madri dai figli, i mariti dalle mogli, gli anziani dai propri cari, per essere avviati alla morte nei forni crematori.

Così abbiamo rivisto le stesse scene di separazione dagli affetti, abbracci struggenti pieni di dolore e di amore, donne che lasciavano i loro mariti, donne che si portavano via figli e anziani e lasciavano i maschi a combattere, padri e madri in lacrime. La loro non è una Shoah, ma è la guerra. E la guerra crea sempre una separazione tra come era la vita prima e come non sarà più. Non c’è nulla che riesca a raccontarla meglio di quelle 109 carrozzine vuote esposte nella piazza di Leopoli: la strage di bambini che questa più di altre guerre sta facendo. La guerra è un orco che distrugge i bambini prima ancora di ucciderli, perché gli toglie lo spazio, la sicurezza, la relazione, gli affetti e le emozioni, ingredienti senza i quali la vita non è più vita per loro. Eppure i bambini hanno la capacità di trasformare tutto, anche le situazioni più disastrate, i panorami distrutti dalle bombe, sanno muoversi e giocare anche con i ruderi dei carri armati e le armi abbandonate. I bambini realizzano la profezia di forgiare le spade in vomeri e le lance in falci, gli strumenti di morte in occasioni di gioco, di vita, mostrando agli adulti un valore simbolico inestimabile: che in ogni situazione c’è una riserva di vita da salvaguardare.

Per capire la tragicità e l’assurdità della guerra bisogna quindi abbassare lo sguardo all’altezza dei bambini, guardarla con i loro occhi, farsi prendere dal loro smarrimento, provare a raccontarla con le loro parole, con i loro sguardi, con il loro sgomento, con ciò che hanno visto e ciò che hanno subito, e, attraverso la loro sofferenza, cogliere l’occasione di salvezza che essi offrono. Solo lo sguardo e le parole dei bambini possono parlare alla coscienza degli adulti e perforare la corazza di odio che le guerre creano prima di tutto dentro di noi e attorno a noi.

Il volto è rivelatore, diceva un grande filosofo ebreo, e il volto dei bambini, più di qualsiasi altro, può aiutarci a penetrare nel cuore di questo dramma.

Di fronte a tanta tragicità e a tanta violenza ci si chiede se chi uccide, stupra, violenta, sia mai stato bambino. È un dubbio atroce, ma che prende corpo di fronte a ciò che non si può guardare, a ciò che non si può pensare, a ciò che non si può dire, a come si uccide in guerra. Un bambino non lo farebbe mai, non lancerebbe mai una bomba in mezzo alla folla per squarciare vite e martoriare corpi. Per i bambini gli adulti sono istintivamente coloro che proteggono, e non si uccide chi protegge. Per i bambini l’affidarsi è una questione di sopravvivenza: ci si affida perché ci si fida, e questa fiducia è la condizione essenziale perché la vita possa svilupparsi. Senza, l’isolamento condurrebbe alla morte. I bambini non sgancerebbero mai bombe sugli edifici, perché le case sono il luogo della sicurezza, dove circola il nutrimento degli affetti, più necessario alla vita del pane stesso. Ma quando chi deve dare fiducia e sicurezza diventa l’orco o il becchino, la natura compie una capriola incomprensibile. L’umanità viene dimezzata, come se le fosse tolta una dimensione essenziale. Gli uomini che uccidono bambini non solo li tradiscono, ma uccidono la parte migliore di se stessi.

E forse è proprio la perdita di questa dimensione costitutiva della persona umana ad aprire la strada a ogni atrocità, perché con essa si distrugge l’antidoto alla violenza. Dove ci sono bambini, non può esserci violenza: essi sono la barriera naturale per non precipitare nel disumano.

Occorre un orecchio acerbo, diceva Gianni Rodari, per comprendere i bambini, abbassarsi alla loro altezza per guardare il mondo, immedesimarsi nella loro fragilità per meravigliarsi della bellezza della realtà. Solo se riusciremo a preservare questa dimensione aperta alla vita, a capire che i bambini sono partigiani della vita, le loro morti non saranno state invano, e si potrà cantare che anche esse sono un fiore per la libertà.◘

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di Antonio Guerrini