Dossier. La tragedia dei bambini.
Quando pensiamo ai bambini/e ci viene subito in mente un mondo sereno, protetto e coccolato. L’epoca dell’infanzia nel nostro immaginario è avvolta da tanta tenerezza: un mondo di dolcezza, curiosità, fantasia e piacere.
Come pensare, allora, a dei bambini/e svegliati nella notte dal fragore delle bombe, costretti a vivere in sotterranei, trasformati in rifugi, dove cerca di sopravvivere un’umanità promiscua di donne, uomini, anziani, bambini e animali? Come immaginare bambini/e costretti ad abbandonare le loro case distrutte, col dolore dipinto nei volti delle mamme e dei nonni, con i padri che restano per combattere e forse morire, spesso affidati a estranei o, ancor peggio, soli?
Come si devono essere impresse nelle loro menti innocenti quelle immagini di desolazione e morte? Come immaginare quelle paure, quei distacchi, quegli abbandoni dal loro mondo di giochi all’aperto, dalla vita nei loro paesi, dalle loro scuole e dai loro amici?
Sicuramente in questi bambini/e si sono generati dei meccanismi di difesa, grazie anche alla loro grande adattabilità. Tuttavia, le costrizioni subite, le immagini impresse, le lacrime nei volti e i morti nelle strade devono aver prodotto tante ripercussioni emotive e anche blocchi mentali, causa di inevitabili condizionamenti e reazioni interne.
E, allora, con quei bambini/e e quelle famiglie, che vengono da quei posti, si deve poter partire da tale immedesimazione, per cercare di comprendere i loro principali bisogni affettivi e le loro esigenze ambientali. Questo, per offrire loro opportunità di accoglienza, situazioni d’inclusione, condizioni di riconoscimento e relazioni di rassicurazione e d’integrazione, che siano umanamente affettuose e culturalmente rispettose.
Per tutto ciò, bisogna sapersi riferire alle percezioni dei loro vissuti e delle loro sensazioni, cogliendone i riscontri interiori, che si manifestano nei diversi linguaggi dei gesti, negli sguardi, nelle posture, oltre alle parole, e anche nelle loro rappresentazioni dell’animo, come sono i disegni. È partendo da tali raffigurazioni, che si possono dedurre i sussulti delle loro emozioni e i pensieri delle loro menti. Disegni di bombe sganciate dal cielo, carri armati che avanzano e soldati minacciosi con i loro fucili, nubi grigie e lingue di fuoco che divampano tutt’attorno; tutto questo – ben rappresentato nei loro disegni – deve poter essere motivo di considerazione, comprensione ed espressione di sentimenti e pensieri da esternare, per decodificare atteggiamenti, far manifestare timori, estrinsecare paure e intuire e cogliere ripercussioni.
Quanto detto, non tanto per giudicare, ma per poter comprendere i loro riscontri soggettivi, accogliendoli così come si manifestano e cercando, poi, di offrire loro opportunità di vita, che siano non solo compensative, ma anche adattative e inclusive.
Chi entra in contatto con questi bambini/e – ma anche coloro che sono deputati a organizzarne l’accoglienza – deve poter tirar fuori la basilare capacità empatica e la sua generosità – sia come singoli che come istituzioni –, perché il senso della nostra umanità si vede da come in queste situazioni la nostra sensibilità e la nostra disponibilità sanno farsi adeguata accoglienza emotiva e ospitalità efficace ed efficiente.
Questa situazione che si è venuta a creare, deve farci pensare come una minacciosa logica di dominio e di guerra debba fare il posto a una logica di cooperazione, condizione di una convivenza pacifica e collaborativa, per affrontare quelli che sono gli epocali problemi ambientali della nostra civiltà, per una coscienza planetaria, che permetta a tutte le future generazioni di vivere in pace e armonia, in questa splendida, comune Terra. ◘
di Gaetano Mollo