Politica internazionale.
C’è uno sgomento che coglie oggi i corifei e gli apologeti della guerra in corso, che sta nel vederla ristagnare, nel non vederne realizzate le attese, nel vedere quanto si stia allontanando dalla narrazione univoca che ne è stata imposta fin dal principio. Forse non solo i telecommentatori e gli esperti sono interdetti per questo avvitarsi della guerra, ma anche Biden e Stoltenberg che tanto l’hanno amata: l’Ucraina non vince, la Russia non perde, le sanzioni non funzionano, lo share si riduce, le proiezioni di “Limes” non si avverano, Il finale di partita, che sarebbe con la Cina, non sembra vicino.
Forse allora bisogna cambiare lettura. Da una tragedia storica non si esce se prima non la si comprende. È ancora il caso di interpretare il mondo, per cambiarlo.
Questa non è, come si vorrebbe, una guerra di amici buoni e nemici cattivi. A maggior ragione di ciò che è stato detto per le guerre del secolo scorso, questa è una guerra civile europea. Tutte le guerre, in verità, sono guerre civili, se si parte dall’idea di un mondo unito e di una sola umanità, l’idea che Carl Schmitt aveva in orrore, perché rompeva il suo bel quadretto del “politico” fondato sul concetto di nemico; ma questa è una guerra civile in modo speciale, perché l’Ucraina è madre della Russia, il cristianesimo è venuto da Kiev e ucraini e russi si riconoscono come fratelli. E proprio perché è una guerra civile, essi si combattono più duramente e mostrano più odio; e gli ucraini più dei russi perché, sempre per stare alle cattive culture, un popolo non avrebbe esistenza politica se non prendesse coscienza del nemico e non avvertisse l’altro come diverso; e il nemico, parola di Hegel, è questa diversità, è “un estraneo da negare nella sua totalità esistenziale”. L’Ucraina, proprio perché è stata fino a ieri priva di una propria esistenza politica, sembra aver oggi più bisogno di rivendicarla, più della Russia, che invece non l’ha mai perduta; perciò ha più bisogno di vivere la guerra come lotta per la differenza e la sovranità, di enfatizzarla, diffonderla e contagiarla agli altri, fino al rischio della guerra mondiale, mentre alla Russia basta l’ipocrisia dell’ “operazione militare speciale”. C’è però una seconda ragione per la quale questa è una guerra civile: perché è una guerra dell’Occidente, ma interna allo stesso Occidente; non è una guerra tra due mondi estranei e nemici, non ha nulla in comune con lo scontro di civiltà dei tempi della guerra fredda, quando l’Unione Sovietica faceva corpo con l’Impero del male. Non è più così; al prezzo della sua dissoluzione, l’Urss stessa, divenuta la Repubblica russa, era entrata ed era stata accettata nell’Impero del bene: globalizzazione, democrazia, libera impresa. Eltsin, con una lettera del 20 dicembre 1991, aveva perfino chiesto di entrare nella Nato, e Putin stesso, come ha rivelato a Stone nelle sue interviste per le televisioni americane, ne aveva discusso la possibilità con Clinton, suscitando “il nervosismo” della delegazione degli Stati Uniti, rimasta convinta che ci fosse “bisogno di un nemico” perché la stessa Nato potesse sussistere.
Ed è proprio la Nato che, sotto le bandiere di Biden, si intromette ora nella guerra civile europea per farne la guerra civile atlantica, guerra tra fratelli d’armi, nella gara in corso per il dominio; e anche questa guerra è fratricida, dato che, mettendo insieme Schmitt ed Hegel, quanto più i nemici sono fratelli e uguali, tanto più sono nemici.
Sicché il problema non è, come sostiene Putin, quello di denazificare l’Ucraina, ma di privare di fondamento tutti i nazismi, palesi e occulti, sfatando la percezione dell’estraneo come nemico, riconoscendo la differenza come valore e non come minaccia, sottraendosi così alle cattive ermeneutiche di Schmitt e di Hegel, quel principe dei filosofi che a Jena vedeva Napoleone a cavallo come “lo Spirito del mondo” e nei popoli che avevano scoperto l’America sterminando gli Indios vedeva “i popoli dello Spirito”. Occorre piuttosto decainizzare l’Occidente e, dentro di esso, l’Ucraina, la Russia e l’Europa. Il modello non sarebbe infatti più la gelosia fratricida di Caino, ma il riconoscimento della fraternità: forse è da ricordare la parola profetica, allora incompresa, che fu pronunziata da Giovanni XXIII, il Papa della Pacem in terris, nel discorso inaugurale del suo pontificato, quando si presentò al mondo dicendo: “Sono io Giuseppe vostro fratello”, evocando la storia del figlio di Giacobbe, che così si era presentato ai suoi “fratelli di umana sventura” che l’avevano gettato nella cisterna e venduto per l’Egitto: il riconoscimento reciproco, invece della vendetta. Sarebbe questa in tal modo l’ultima guerra civile, l’ultima riesumazione della guerra, all’inizio riconosciuta in Polemos come padre, e alla fine ripudiata come sposa. Si tratterebbe per l’Occidente di non salire più su una montagna di cadaveri, per guardare lontano senza vedere, ma di riconoscere di stare con l’Oriente su monti vicini, per costruire insieme una Terra di tutti, un’umanità fraterna dotata di esistenza politica, governata dal diritto e garantita da Statuti di giustizia e di pace. ◘
Di Raniero la Valle