Editoriale. Il nuovo vescovo si è insediato nella diocesi tifernate.
L’insediamento del nuovo vescovo, Luciano Paolucci Bedini, in sostituzione di Domenico Cancian, che ha lasciato la responsabilità di episcopus per raggiunti limiti di età, è un evento importante per la città. A parte le polemiche, che non hanno mai raggiunto livelli parossistici circa l’accorpamento della diocesi tifernate a quella eugubina, il nuovo vescovo ha segnato il suo ingresso in città con due atti simbolici di rilievo. Innanzi tutto è arrivato a piedi, alla fine di un pellegrinaggio durato tre giorni seguendo il sentiero di Francesco; un “pellegrinaggio” da Gubbio a Città di Castello, proponendo l’immagine di una Chiesa in cammino, che si muove con mezzi poveri. Due fatti che si ispirano direttamente al pontificato di Bergoglio, che ha voluto assumere il nome di Francesco per indicare il Santo di Assisi come esempio limpido di fedeltà al Vangelo delle origini e modello per la rinascita della Chiesa. Due gesti che, presi nel loro significato profondo, richiamano gli insegnamenti delle encicliche Evangeli Gaudium, Fratelli tutti e Laudato si’, il cammino di Francesco e il richiamo alla natura ferita. Significati che esprimono il senso pieno della svolta di questo pontificato, ribaditi come punti fermi da mons. Luciano Paolucci Bedini. La Chiesa non aspira a essere un potere tra gli altri, ma rappresenta una comunità in cammino, un pellegrinaggio che chiama tutti alla sequela di Gesù, sulla impervia strada dell’annuncio, a farsi carico di tutti, nessuno escluso, nel segno di una grande apertura, non solo agli “eletti”.
Ma se i primi gesti posti dal vescovo sono indicatori inequivocabili di un percorso e di un orizzonte che si vogliono perseguire, bisogna anche chiedersi quale Chiesa trova il nuovo episcopus, qual è lo stato dei credenti e praticanti di questa diocesi e qual è la sostanza della sua fede. È inutile sottolineare che la Chiesa del suo predecessore, Domenico Cancian, come la Chiesa di papa Bergoglio, si trovi in mezzo al mare nel corso di una tempesta che rischia di sopraffarla. È una Chiesa che brucia, come ha sottolineato Andrea Riccardi nel suo ultimo libro La chiesa Brucia: una Chiesa in preda a una crisi profonda di fede, una crisi di credibilità per le note vicende legate alla pedofilia, una crisi di mondanità, una Chiesa che abbonda di ricchezza e di potere. Anche quella tifernate non sfugge al clima dominante, e appare rinsecchita, rinchiusa in angusti limiti, poco dialogante al suo stesso interno, impermeabile alle problematiche del mondo globale. Una Chiesa che non riesce più ad attrarre, a essere interessante e coinvolgente per moltissima umanità, soprattutto per i giovani, che nella loro fase di maggiore apertura alla ricerca di un senso da dare alla vita, dovrebbero poter incrociare la Parola che proprio per questo è stata detta. Anche da noi le chiese sono semivuote, il ritorno alla ritualità che dà sicurezza e appartenenza, ai catechismi, agli incensi, alle preghiere e alle giaculatorie sembrano prevalere sulla necessità di aprirsi al mondo, alle sue problematicità. E così, il rapporto tra tradizione e innovazione finisce per appesantire una “comunità” già affaticata.
Il “Dio è morto” del nichilismo novecentesco ha modellato gli stili di vita contemporanei, anche se non lo si vuol ammettere in tutta la sua evidenza. Ma è anche una Chiesa consapevole della sua condizione, che cerca di rialzare la testa, riproponendo la sinodalità come cifra della sua stessa vita, consapevole che, se “Dio è morto” nella cultura che lo ha sostenuto fino ai nostri giorni, è altrettanto vero che, proprio nei momenti di crisi come questo, la sua esigenza è ancora più avvertita, perché il bisogno di dare un senso che trascenda l’orizzonte umano è costitutivo del nostro essere e perciò più essenziale del pane che mangiamo. È questa la sfida davanti al nuovo vescovo come a tutti i credenti o aspiranti tali. Francesco ricostruì la chiesa di San Damiano e oggi più che mai c’è bisogno di ricostruire, proporre nuove testimonianze, nuovi messaggi, nuovi stili di vita. Bisogna liberarsi da una certa religiosità che tende alla sicurezza, alla spiritualizzazione, al ritorno alle “buone cose (pratiche) di pessimo gusto”. Il richiamo alla purezza delle origini è la sfida che papa Francesco ha imposto al suo pontificato, e vale per tutti. ◘
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