Editoriale.
“L’operazione militare speciale” proclamata dal Cremlino, per difendere la popolazione russofona del Donbass, si rivela una guerra terribile con un tributo di sangue che pagano soprattutto i civili.
I metodi di Putin li conosciamo da un pezzo: bombardare il più possibile, fare terra bruciata perché gli abitanti possano andare via o morire di stenti, distruggere i silos del grano, costringere gli ucraini alla resa. Nel frattempo tredici milioni di persone sono costrette a fuggire all’interno o all’estero per salvare la vita. La Federazione russa ha fatto strame delle leggi internazionali e ha adoperato l’uso indiscriminato della violenza.
Lo sanno bene i reporter italiani che hanno raccontato di ventimila bambini spariti dagli orfanotrofi e deportati in Russia di cui si sono perse addirittura le tracce e i crimini di guerra perpetrati dai russi a Mariupol. Le testimonianze sono scioccanti: «Gli invasori hanno preso i soldati ucraini feriti e ricoverati in ospedale. Li hanno portati su un prato e gli hanno scavato delle fosse. L’indomani le buche erano state coperte e dei feriti non c’era più traccia».
Dopo Bucha e Mariupol, i russi hanno lasciato una lunga scia di sangue e si sono accaniti sui civili inermi.
L’ultimo gesto ignobile è stato il bombardamento del centro commerciale di Kremenchuk, molto lontano dal fronte. È una logica collaudata impiegata a Grosny, ad Aleppo, in Georgia e serve a terrorizzare le persone, a uccidere, a fiaccarne la resistenza. Sono rimaste sotto le macerie 56 persone, mentre l’Ucraina chiede una inchiesta internazionale per violazione dei diritti umani e di crimini di guerra in tutto il Paese.
Si moltiplicano i gesti di solidarietà, come quello della carovana della pace che si è spinta fino a Odessa e Nikolayv per aiutare la popolazione assediata, ma ci vorrebbe una ribellione morale dell’opinione pubblica mondiale per spingere la Russia al tavolo della trattativa. Talvolta gli imperi fondati sulla forza hanno i piedi di argilla. ◘
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