Venerdì, 11 Ottobre 2024

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Taklamakan, l’assassinio dell’arte cinese

Quando il vento dell’est... a cura di Antonio Rolle...: orizzonte China.

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Le più alte e impervie catene montuose del mondo circondano, su tre lati, il deserto cinese del Taklamakan. Nel quarto lato, nella parte più orientale, si estende il deserto del Gobi. Con i suoi 1000 Km di lunghezza e i 500 km di larghezza, il deserto del Taklamakan ha una superficie poco meno di quella dell’Italia. L’Italia si estende per poco più di 300 mila Km quadrati). A sud ovest confina con la regione autonoma del Xizang (il Tibet) e con le maestose catene montagnose del Pamir, del Karakorum e del Kashmir. A nord si stagliano le montagne del Tien Shan e il deserto dei Gobi a est.

Siamo nei primi anni del ‘900: l’archeologo svedese Sven Hedin attraversò il deserto del Taklamakan e lo definì “il peggiore e il più pericoloso deserto del mondo”. Sir Lauren Stein, altro famoso archeologo inglese, non ebbe incertezza nell’affermare che altri deserti dell’Arabia al paragone, potevano essere considerati semplicemente “estensioni domestiche”. L’archeologo tedesco Albert Von Le Coq descrisse il Kara-Buran (l’Uragano nero) che può imperversare sul deserto del Taklamakan: “…subitamente il cielo diventa nero…un istante dopo una tempesta violenta aggredisce la carovana. Enormi vortici di sabbia, mista a sassi, sono sollevati in aria e, turbinando, colpiscono uomini e bestie… Il Kara Buran può durare delle ore…”

L’ANTICA VIA DELLA SETA.

taklamakan l assassinio dell arte cinese altrapagina mese luglio agosto 2022 1Ma perché l’archeologia occidentale e, in parte, i giapponesi e i russi s’interessarono così intensamente al “deserto della morte” del Taklamakan? Per l’ebbrezza e la vertigine del rischio? Per la curiosità sfrenata di scoprire luoghi lontani e segreti dei quali avevano sentito parlare? Niente di tutto ciò. Gli archeologi occidentali e orientali erano studiosi e ricercatori razionali ,si ponevano l’obiettivo di scovare i luoghi dove si celavano monasteri, grotte sacre, stupa buddiste. Si trattava di riscoprire, dopo quasi 2000 anni, gli inestimabili tesori d’arte lungo l’antica “Via della Seta”. Entrando da Kashgar, sul confine dell’attuale Kirghizistan, si iniziava a percorrere la regione del Xinjiang, dove vivono oggi i cinesi uiguri e quelli han. Lungo quella via si trova il deserto del Taklamakan e la denominata “Antica Via della Seta”. Yolkan, Khotan, Niya, Yarkhoto, Karakhoja e, più a est, la più famosa oasi/sito di Tun-huang. Per 1000 anni, dalle tre dinastie Han fino allo splendore della dinastia Tang (618-906 d.C.), la “Via della Seta” era diventata un proliferare formicolante di missionari di decine di religioni che venivano dall’India e di cristiani manichei e nestoriani, da tutta l’Asia centrale e dal centro dell’Europa cristiana. E di mercanti, di pellegrini e di numerose famiglie locali. Imperava l’arte del buddismo tantrico con i suoi migliaia di Budda incastonati nelle grotte con raffigurazioni di donne e uomini benefattori “ritratti in atteggiamenti pii come nelle opere del Rinascimento cristiano”. E poi centinaia di splendidi affreschi e la presenza di montagne di manoscritti. I primi libri stampati nel mondo in numerose lingue indiane e del centro Asia: uighure, tangutiane, sanscrite, tibetane e khotanese ma, soprattutto, nella lingua cinese antica. Ecco a che cosa miravano i famosi archeologi del mondo intero!

I DIAVOLI STRANIERI

taklamakan l assassinio dell arte cinese altrapagina mese luglio agosto 2022 2Si chiamavano Sven Hedin (svedese), Sir Lauren Stein (inglese), Albert Von Le Coq (tedesco), Paul Peliot (francese) Kozui Otani (giapponese) e Langdon Warner (americano), solo per citare i più noti. Corrompendo e ingannando i residenti, saccheggiarono e prelevarono e rubarono quanto più potevano: staccarono dalle pareti interi affreschi sacri e antichi di mille anni, s’impossessarono di centinaia di statue e di migliaia di manoscritti. “Carovane cariche di inestimabili tesori… irrimediabilmente persi per la Cina”. I tesori sono oggi visibili nel museo Cernuschi di Parigi, nella Nelson Gallery del Kansas (Usa), nel Museo Nazionale di Delhi (India), a Berlino nel Museo di Arte Indiana, nel museo Nazionale di Tokyo, nell’ Hermitage di San Pietroburgo e nel British Museum (la parte più originale e cospicua) di Londra.

I governi cinesi, esasperati per il continuo rifiuto alle richieste di restituzione dei tesori rubati, bollarono come furfanti e “diavoli stranieri, “i famosi archeologi”. Oggi ancora, quando le autorità cinesi parlano di più di cento anni (dal 1839 al 1949) di “umiliazione della Cina”, con un tremolio della voce, citano l’assassinio dell’Arte cinese antica avvenuto, nei primi anni del ‘900, sulla “Via della Seta”. ◘

di Antonio Rolle


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