Con gli occhi di Alice.
Gli anni del benessere sono finiti. Il mondo di pace e di prosperità progressiva che abbiamo conosciuto, e che sembrava illimitato, è alle nostre spalle. Il futuro ha già i contorni di una austerity che non sappiamo ancora quanto sarà pesante. Da mesi sociologi, filosofi, opinionisti, alimentano il pessimismo inevitabile che serpeggia in tutte le famiglie di fronte alla situazione di grave instabilità politica internazionale, con la consapevolezza che la guerra così come la pandemia, sono tutt’altro che finite, mentre la crisi economica erode i redditi di gran parte della popolazione. Del resto è un esercizio costante di tutti coloro che devono arrivare alla fine del mese tenere sotto controllo i prezzi dell’energia e degli alimenti, che aumentano di settimana in settimana.
Come in tutti i periodi di profonde trasformazioni, alcuni aspetti del vivere collettivo cambiano prima, in modo immediatamente percepibile: i consumi, il lavoro, i rapporti sociali. Altri resistono… nessuno sa fino a quando. La pubblicità, per esempio, continua a essere onnipresente, invasiva, molesta… come prima e molto più di prima!
Ah, già la pubblicità! Solo a evocarla si cade in un déjà vu, che conosce bene chi non è proprio giovanissimo. Subito vengono in mente gli anni ’70: Marcuse e la critica alla società di massa, fra cui la pubblicità come espressione emblematica della società industrializzata. In realtà ancora oggi siamo immersi nelle contraddizioni dello stesso sistema sociale ed economico per cui la pubblicità, come la droga, il disagio giovanile, le discriminazioni di genere e… l’imperialismo degli Usa, che erano messi a tema in quegli anni, sono ancora terribilmente attuali. Sono il prezzo della civiltà, oppure del modello di società che abbiamo costruito, il meno peggio che siamo riusciti a imbastire.
Diciamo la verità: da tempo ci siamo rassegnati a subire questa specie di dittatura dello spot, che ha i suoi inalienabili diritti, che piegano la visione di un film “intero”, la contemplazione di un quadro, l’interesse per un programma di approfondimento, la lettura di un testo di storia o di filosofia, di una poesia, l’ascolto di un brano di musica sinfonica oppure rock, di un monologo teatrale di qualunque genere. Ci siamo abituati a pagare il fio del rumore continuo e fastidioso delle reclame in qualsiasi momento delle nostre giornate, per qualunque genere di fruizione mediatica, più che mai della rete e dei social, senza distinzioni di sorta.
Ma proprio perché il mondo sta cambiando, potrebbe la pubblicità risultare a breve o già adesso qualcosa di vecchio e di obsoleto? Nel momento stesso in cui non ci ha portato il benessere promesso, o comunque ha esaurito la sua spinta propulsiva… perché dovremmo continuare a sopportarla? Se la crisi climatica e i gravissimi squilibri sociali ed economici ci stanno già imponendo un altro modello di economia,… Spero e sogno che questo sia senza pubblicità! Oppure, mentre si affaccia il paradigma della gentilezza quale stilema di un nuovo Umanesimo prossimo venturo, lancio lo slogan di una “pubblicità gentile”, che rispetti la bellezza dell’arte, la profondità del pensiero, la necessità di una comunicazione umana fra le persone.
Se un altro mondo più gentile è possibile… ◘
di Daniela Mariotti